L’indagine sulla ong tedesca e la nave Iuventa Le accuse, l’infiltrato e i rapporti tesi con Roma

Il 2 agosto la nave Iuventa della ong tedesca Jugend Rettet è stata scortata nel porto di Lampedusa e posta sotto sequestro su richiesta della Procura di Trapani che indaga ipotizzando il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, anche se nessun membro dell’equipaggio risulterebbe iscritto nel registro degli indagati. È il culmine di approfondimenti che coprono un periodo di tempo compreso tra settembre 2016 e giugno 2017, partiti dalla denuncia di due dipendenti di una società di sicurezza, la Imi Security Service, imbarcati sulla nave di Save the children. I due contractors riferiscono sia ai servizi segreti, all’Aise, che agli investigatori di Trapani. Ma nelle 150 pagine del dispositivo di sequestro della Iuventa c’è molto altro: dall’infiltrato del Servizio centrale operativo della polizia a bordo della nave di Save the children, alle foto che dimostrerebbero come la ong tedesca abbia riportato indietro, in acqua libiche, i barconi vuoti, fino a uno scontro all’interno del mondo delle organizzazioni non governative su alcuni punti fondamentali della loro attività in mare. 

DA DOVE ARRIVANO LE ACCUSE ALLA NAVE IUVENTA
Le indagini di Trapani, come detto, partono dalla denuncia di due dipendenti dell’agenzia di sicurezze Imi Security Service, Pietro Gallo e Lucio Montanino, imbarcati sulla nave Vox Hestia di Save the children. Sono loro i primi a segnalare anomalie nelle fasi di soccorso in mare. Lo fanno sia alla squadra mobile di Trapani con dichiarazioni rese il 12 settembre del 2016, subito dopo uno sbarco, sia con un’email all’Aise (l’agenzia informazioni e sicurezza esterna), cioè il servizio segreto per l’estero, indirizzata a Paolo Scotto di Castelbianco, responsabile della comunicazione istituzionale e direttore della Scuola di formazione del Comparto Intelligence, di cui sostengono di aver recuperato nominativo e indirizzo email su internet. Denunciano che la Iuventa «si avvicinerebbe eccessivamente alle coste libiche durante le operazioni di recupero, fornendo supporto logistico agli scafisti». Ieri il giornalista Andrea Palladino, su Famiglia Cristiana, ha parlato dei legami tra la Imi Security Service e uno dei membri di Generazione Identitariail gruppo di estrema destra che, a bordo della C-Star, proprio in questi giorni si dirige verso la zona di soccorso per aiutare i libici. 

Nel prosieguo delle indagini viene infiltrato un agente dello Sco a bordo della Vox Hestia. È lui che, a partire dal 19 maggio del 2017, racconta e fotografa il recupero da parte degli esponenti della ong Jugend Rettet di tre imbarcazioni utilizzate dai migranti soccorsi, che, una volta vuote, sarebbero state trainate dall’organizzazione tedesca verso le acque libiche, «consentendone – scrive il Tribunale di Trapani – il recupero ad opera di alcuni soggetti che si trovavano già all’altezza di quelle acque».

Altre accuse vengono mosse dal comandante della nave Diciotti della guardia costiera, Gianluca D’Agostino. In una relazione al termine di un servizio di soccorso, scrive che «durante le fasi di recupero dei migranti presenti a bordo di un gommone, la nave Iuventa ha fatto ingresso, mediante i propri Rhibs (gommoni di supporto), nelle acque territoriali libiche a massima velocità».

Infine, alle accuse alla Iuventa contribuisce anche un medico, Stefano Spinelli, che fa parte della onlus Rainbow for Africa e partecipa alle missioni a bordo della Iuventa, garantendo supporto medico. Spinelli, nel maggio del 2017, prima che la nave della ong tedesca rientrasse al porto di Lampedusa, invia un’email alla sala operativa della guardia costiera di Roma in cui «si dissocia formalmente da eventuali condotte poste in essere dagli esponenti della Jugend Rettet, non conformi alle disposizioni impartite dalla Guardia Costiera italiana». Successivamente il suo telefono viene intercettato e dalle sue conversazioni emergono numerosi elementi utili alle indagini. 

COSA VIENE CONTESTATO ALLA IUVENTA
LE ACCUSE DA PARTE DELL’INFILTRATO DELLO SCO
Le accuse più pesanti alla ong tedesca arrivano dall’infiltrato dello Sco. Il poliziotto partecipa a diverse operazioni di soccorso ma due in particolare, entrambe avvenute nella mattina del 18 giugno del 2017, vengono ritenute molto interessanti dagli inquirenti, perché dimostrerebbero l’impegno di alcuni membri della Jugend Rettet nel rimettere i barconi nella disponibilità dei trafficanti. Poco dopo le sei del mattino, la nave di Save the children su cui è imbarcato l’agente sotto copertura arriva nell’area di intervento, tra le 12 e le 20 miglia dalle acque libiche. Insieme alla Vox Hestia ci sono la Iuventa, una motovedetta della Guardia costiera libica, tre barconi in legno con migranti a bordo e un barchino con alcuni trafficanti. Il barchino e i libici si allontanano e inizia il recupero dei migranti

Finita l’operazione, uno dei gommoni in uso alla Iuventa «si è avvicinato a due dei tre barconi in legno ormai vuoti, sono stati legati tra loro con una cima e gli operatori che si trovavano a bordo del gommone li hanno trainati verso le coste libiche, lasciandoli poi alla deriva. All’orizzonte – scrivono i magistrati – l’operatore sotto copertura ha avuto modo di constatare la presenza di alcuni barchini, verosimilmente in uso ai trafficanti, che stazionavano in quello specchio acqueo in stato di attesa». Poco dopo la stessa operazione sarebbe stata effettuata anche con il terzo barcone, trainato verso le coste libiche. Quest’ultimo mezzo, di colore rosso e contrassegnato dalle lettere KK, è stato poi usato dai trafficanti otto giorni dopo (il 26 giugno) per un altro trasporto di migranti. «I movimenti descritti – si legge ancora nel dispositivo di sequestro – sono stati osservati dall’operatore undercover attraverso lo zoom della propria macchinetta fotografica».

Nella stessa mattina del 18 giugno, intorno alle 11, il poliziotto assiste e documenta con fotografie a un incontro tra uno dei gommoni della Iuventa e un barchino con a bordo presunti trafficanti. «Dopo essersi incontrati, sono restati affiancati per qualche minuto; dopo qualche istante, il Rhib (il gommone di soccorso ndr) si è diretto verso la Iuventa, mentre l’altro natante ha proceduto verso le coste libiche; successivamente quest’ultima imbarcazione è riapparsa sullo scenario, scortando un gommone carico di migranti e fermandosi solo vicino alla Iuventa». Mentre i migranti vengono soccorsi, i trafficanti si sono avvicinati al gommone, portando via il motore. Gli inquirenti sottolineano come, prima di andare via, i trafficanti abbiano rivolto un gesto di saluto alla Iuventa. 

LE ACCUSE DEI DIPENDENTI DELL’AGENZIA DI SICUREZZA IMI SECURITY SERVICE
Pietro Gallo e Lucio Montanino sono i due dipendenti dell’agenzia di sicurezza a denunciare della anomalie che riscontrano mentre sono imbarcati sulla Vox Hestia di Save the children. «C’erano dei gommoni con i migranti a bordo che scaricavano le persone su una nave chiamata Iuventa – dicono -. La stranezza la vedevamo nel fatto che il personale della Iuventa, dopo aver fatto salire i migranti a bordo, restituiva i gommoni ad altri soggetti che stazionavano nella zona dei soccorsi a bordo di piccole imbarcazioni di vetroresina o legno».

Altra accusa riguarda la presunta esistenza di una chat tra i referenti delle ong in cui sarebbero state comunicate, in via informale, quindi senza passare dalla Guardia costiera, le posizioni esatte dei migranti da soccorrere. Ne parlano sia Gallo e Montanino tra di loro, sia Gallo con il titolare della Imi Security Service, Christian Ricci. Eppure nessuno di loro ha mai visto i contenuti della chat. «Te l’hanno chiesto se tu sapevi se loro ricevevano messaggi o qualcos’altro?», chiede Gallo, intercettato al suo superiore facendo riferimento a un interrogatorio a cui era stato sottoposto Ricci. «Sì, si – replica quest’ultimo – gli ho detto: “c’era tipo una community“». «Una chat!», insiste l’altro. «Eh, una chat, una cosa del genere, però io non l’ho mai vista! So che c’era però a me non mi hanno mai permesso neanche di vedere chi ci facesse parte – continua Ricci -. Io non ho mai visto il comandante vedere quella chat, so che ce l’aveva e arrivava sul telefono del team leader di Save the Children! Gli ho detto che noi ci andavamo perché arrivava il messaggio lì a quello di Save the Children e noi andavamo dove diceva lei». Su questo punto MeridioNews si riserva di pubblicare la versione di Save the children a cui ha chiesto una replica. 

LE ACCUSE DA PARTE DELLA GUARDIA COSTIERA
Il 10 maggio del 2017 i gommoni della Iuventa sarebbero entrati in acque territoriali libiche senza il permesso della centrale operativa della Guardia costiera di Roma. A documentarlo sarebbe stato un aereo della stessa Guardia costiera nel corso di una ricognizione. Questa circostanza sarebbe stata prima negata dal comandante della Iuventa al personale della nave Diciotti, intervenuta nell’area dei soccorsi. E poi ammessa parzialmente dallo stesso comandante, interrogato dopo essere sbarcato a Lampedusa. In questa sede l’uomo avrebbe sottolineato di essere entrato in acque libiche ma a motore spento, trascinato dalle correnti marine. 

LA MANCANZA DI COLLABORAZIONE CON LE AUTORITA’ E IL CARTELLO FUCK IMRCC
Dalle carte emerge la resistenza fatta dall’equipaggio della Iuventa a rientrare nei porti italiani, spinti dalla volontà di rimanere sempre in prima linea nei soccorsi. Gli sbarchi a Lampedusa di maggio e giugno del 2017 avvengono dopo numerose richieste. A testimoniare l’atmosfera poco serena c’è anche un cartello che viene appeso alla prua della Iuventa con la scritta: Fuck Imrcc (Fanculo al Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo). Un cartello che non è passato inosservato al comandante della capitaneria di Lampedusa che, alla fine dell’ispezione, avrebbe risposto: «Però magari il cartello toglietelo». In realtà il principale motivo di scontro è rappresentato dalla richiesta di fornire elementi utili alle indagini, cioè video e foto, e informazioni sui trafficanti. Domande a cui la ong tedesca non risponde. Su questo aspetto, il giudice ricorda anche un’intercettazione in cui una donna di nome Katrin, a bordo della Iuventa, spiega «che loro (riferendosi ai suoi collaboratori), in caso di escussioni da parte delle autorità di polizia, si preparano a “tenere pulito tutto”, evitando di consegnare materiale videofotografico relativo alle fasi dei soccorsi. La stessa ha aggiunto che non avrebbero mai fornito le immagini relative ai soggetti che conducono le imbarcazioni dei migranti, in quanto la polizia potrebbe arrestarli». 

L’ESCLUSIONE DI QUALSIASI FINALITA’ DI LUCRO DA PARTE DELLA ONG
Nelle conclusioni, il giudice per le indagini preliminari Emanuele Cersosimo non ha dubbi nell’individuare gli estremi del reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina nelle azioni dell’equipaggio della Iuventa, ma ci tiene a sottolineare l’enorme distanza che c’è tra quest’ultimo e i trafficanti libici. Le azioni della ong tedesca avvengono «in una prospettiva di tutela esasperata dei migranti che accetta, prevede e vuole anche la violazione della norma penale italiana. Il che – continua il gip – non esclude che i membri della ong operino anche in vista di un ritorno economico, ma si tratta in ogni caso di una prospettiva che nulla ha in comune con quella delle organizzazioni operanti sul territorio libico». Per il giudice quindi sono «motivazioni agli antipodi rispetto a quelle delle organizzazioni criminali libiche» e quindi «gli appartenenti alla ong tedesca non vanno in alcun modo considerati come affiliati ai gruppi criminali operanti in territorio libico non condividendone né metodi, né finalità».


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