Che il sistema delle assegnazioni dei beni confiscati alle mafie fosse farraginoso e spesso le pratiche di assegnazione si arenassero in mille rivoli burocratici era chiaro a tutti. Ma mai prima d’ora era successo che un bene confiscato venisse posto sotto sequestro dalla magistratura. È accaduto oggi a Licata, primo caso in Italia. La Procura di Agrigento ha ordinato di mettere i sigilli in un terreno di contrada Passarello, ufficialmente adibito a «vivaio di essenze arboree e/o fiori in serre da piantumare e per rimboschimento», ma che di fatto si era trasformato in una discarica abusiva di rifiuti speciali.
Le indagini dei carabinieri sono scattate grazie alla segnalazione dell’associazione A testa alta di Licata che da anni si occupa dell’uso e dell’assegnazione dei beni sottratti all’economia mafiosa. Gli attivisti, grazie a un approfondito lavoro di indagine, erano riusciti a dimostrare che il bene trasferito alcuni anni fa dall’Agenzia nazionale per i beni confiscati alla criminalità organizzata al Comune di Licata era stato abbandonato e adibito a discarica di carcasse animali e di tronchi di palme colpite dal punteruolo rosso.
«Ci occupiamo da più di due anni della gestione dei beni sottratti alla mafia – spiega a Meridionews Antonino Catania, portavoce dell’associazione A testa alta – e grazie alle nostre attività siamo riusciti ad ottenere dall’allora commissario prefettizio la predisposizione di un regolamento per l’utilizzo dei beni, ma il percorso di legalità ha subito una battuta di arresto con la nuova amministrazione». L’approvazione del testo da parte del consiglio comunale è stata salutata dagli attivisti come una piccola rivoluzione, nonostante non mancassero incongruenze e abusi. Diversi sono i casi segnalati dall’associazione di abitazioni che, nonostante lo status di bene confiscato alla mafia, erano occupate abusivamente da ignoti.
Il terreno sequestrato era stato segnalato nel documentario Confiscati e abbandonati, realizzato dall’associazione. Le immagini del terreno adibito a discarica non lasciano dubbi sullo stato d’abbandono del bene. Solo uno degli esempi eclatanti. «Clamoroso è il caso del terreno di Contrada Sottofari confiscato a un boss locale. Nonostante sia stato confiscato – racconta Catania – l’agenzia grazie a una nostra denuncia ha potuto accertare che il latifondo continua ad essere coltivato a cereali da ignoti». L’associazione era riuscita inoltre a ottenere la pubblicazione della lista dei beni confiscati, apponendo i cartelli informativi per sensibilizzare la popolazione. Ma da quando è in vigore il regolamento, nessun bene confiscato è rientrato nel circuito dell’economia legale e della pubblica utilità.
«Recentemente abbiamo scoperto che il comune di Licata ha disposto l’assegnazione, in comodato d’uso e per la durata di un anno, di un edificio in favore dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM) – spiega l’attivista – senza tuttavia adottare la disciplina dell’evidenza pubblica, per questo riteniamo si tratti di un affidamento diretto che viola il regolamento approvato dal consiglio comunale». Sono 12 in totale i beni confiscati e trasferiti al Comune di Licata. «Ma il numero di quelli non assegnati è destinato a salire – conclude – a seguito delle numerose recenti confische che faranno balzare Licata al primo posto tra le città della provincia con il maggior numero di beni confiscati, scalzando Canicattì e la stesso Agrigento».
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