Liberi, digitali e vincenti

«Vogliamo accendere i riflettori sui misfatti politici per fare in modo che le cose cambino», è questo lo scopo di ProPublica, la testata on-line indipendente e non profit, alla quale quest’anno è stato assegnato il premio Pulitzer per il giornalismo investigativo. A dirlo è il suo direttore, Paul Steiger, nome storico del giornalismo internazionale, chiamato a parlare del “Ruolo dei media nell’era digitale” davanti alla platea del Teatro Pavone di Perugia durante la terza giornata del Festival internazionale del giornalismo.

Introdotto da Guido Romeo del Sole 24 Ore, l’ex direttore del Wall Street Journal ha parlato del futuro del giornalismo e raccontato l’esperienza di ProPublica.

«Sono contento di essere in questa città piena di storia – ha esordito il 67enne Steiger – e in questo bel paese, dove ho fatto la mia luna di miele, la terza, che spero sia anche l’ultima». Comincia così, suscitando una risata, il suo intervento breve, ma ricco di spunti di riflessione. E continua facendo il punto sulla realtà del giornalismo: «Il vecchio modello economico è morto. Il web – dice il direttore americano – è un mezzo cruciale nella distribuzione dell’informazione anche se non sarà il solo».

Secondo Steiger, la grande possibilità di accedere alle notizie e di diffonderle rende la condizione attuale migliore rispetto a quella passata e ci sarà sempre più spazio per i vari tipi di giornalismo, soprattutto quello di guerra e investigativo.

Al progetto di Steiger lavorano trentacinque reporter e una rete di quattro mila collaboratori. La testata è nata nel 2007 dalla volontà di Herbert e Marion Sandler, ex amministratori della Golden West Financial Corporation, che finanziano il progetto con dieci milioni di dollari l’anno.

Agli ascoltatori italiani risulta difficile credere che un giornale possa essere finanziato con queste somme da due colossi della finanza ed essere libero, e la domanda a Steiger sulla questione arriva quasi subito. «Ci finanziano, ma non decidono cosa scriviamo e di cosa ci occupiamo», risponde.

E infatti a guidare i giornalisti di ProPublica è, come dice il loro motto “Journalism in the public interest”, l’interesse pubblico, la missione di informare e denunciare, di verificare e rivelare la realtà. Per farlo ProPublica condivide le sue inchieste con altre testate come il New York Times e il Los Angeles Time, senza scopo di lucro.

«Lavoriamo collaborando con radio, giornali e tv – afferma Steiger. I media tradizionali, anche se stanno vivendo un periodo di profonda crisi, hanno ancora un grande audience e quindi la collaborazione è fondamentale per la diffusione delle notizie».

Nella sua redazione si mescolano esperienze e conoscenze di competenti giornalisti, giovani blogger ed esperti di nuove tecnologie, in un gruppo che lavora con i social media, l’iPhone, il digitale, oltre che con il computer e il telefono. Steiger sottolinea quanto sia importante aggiornarsi continuamente per fare informazione oggi e quanto sia fondamentale il contributo di collaboratori radicati nel territorio: «La collaborazione è indispensabile e il suo potenziale è enorme. ProPublica ha intrapreso cinquecento progetti e con i soli trentacinque giornalisti della redazione sarebbe stato impossibile portarli avanti. Anche con i settecento collaboratori del Wall Street Journal sarebbe stato irrealizzabile. Per fortuna c’è tanto entusiasmo nel partecipare all’informazione».

Steiger racconta delle inchieste di ProPublica, come quella di Sheri Fink “The deadly choices at Memnorial”, il lavoro vincitore del premio Pulitzer, in cui si rivela la verità sulla morte di alcuni pazienti dell’ospedale di New Orleans nel periodo immediatamente successivo all’uragano Katrina, pubblicata anche sul New York Times; e l’inchiesta di Christian Miller, in collaborazione con Doug Smith del Los Angeles Times e il giornalista freelance Pratap Chatterjee, sui civili uccisi o feriti durante i conflitti in Iraq e Afghanistan.

«C’è molto da fare – dice Steiger – siamo ancora all’inizio ma i progressi sono stati tanti. C’è un grande bisogno di lavorare sui principi del giornalismo in generale e di rimettere in piedi quello investigativo».

L’ex direttore storico del Wall Street Journal ha ricordato come fare oggi questo tipo di giornalismo sia molto pericoloso in tante zone del mondo, come la Russia e le Filippine: «Più di settanta giornalisti sono stati uccisi nell’ultimo anno mentre lavoravano, alcuni in guerra, altri di proposito e i mandanti sono rimasti impuniti. Molti sono stati arrestati in paesi come l’Iran e la China. È un problema estremamente grave e tutti dovremmo alzare la voce e farci sentire per spingere chi può a fare qualcosa».

Tante le domande del pubblico, soprattutto incentrate sul confronto Italia-America. A chi gli chiede se un tipo di giornalismo come quello di ProPublica sia possibile in Italia, Steiger risponde: «Lo spero, non conosco i dettagli della situazione italiana, ma ho lavorato con italiani e so che ci sono grandi giornalisti in Italia. Bisogna capire se c’è qualcuno pronto a finanziare il loro lavoro».

L’obiezione dal pubblico arriva puntuale: non sembra esserci questa volontà e si chiedono al direttore stimoli e suggerimenti. Anche se non fosse americano e conoscesse i dettagli della situazione italiana, neanche un giornalista con la sua esperienza potrebbe in ogni caso fornire soluzioni ai problemi dell’informazione in un paese in cui la maggior parte dei giornali fa il contrario di quello che è lo scopo di ProPublica.

Alessandro Gilioli de L’Espresso gli chiede perfino se ha dei suggerimenti su come potrebbe essere possibile per i giornalisti aggirare la limitazione data per legge di pubblicare le intercettazioni telefoniche fornite dalle procure. «Io sono favorevole alla pubblicazione delle intercettazioni», risponde Steiger sottolineando che «In Usa non abbiamo queste limitazioni. È normale comunque che ci sia tensione tra gli scopi della politica e quelli della pubblica informazione. Non posso dare una soluzione ma è indispensabile trovarla».

Qualcun altro vuole sapere se esistono dei modelli tecnologici grazie ai quali l’informazione possa essere di proprietà dei lettori e non di politici, benefattori o mecenati. «Sono a favore della grande distribuzione e diffusione dell’informazione, tramite strumenti come il Web – precisa Steiger – ma è giusto anche poter guadagnare attraverso il lavoro di giornalista se si producono contenuti professionali».

La riflessione si sposta dal Web ai suoi prodotti, come gli aggregatori di notizie, che per Steiger sono sia partner che ladri dell’informazione: «Sono partner nel senso che diffondono notizie velocemente a chiunque voglia averle. Sono anche istituzioni molto potenti che contribuiscono a distruggere il vecchio sistema finanziario e a costruirne uno nuovo. Ma dobbiamo cercare di prenderne i lati positivi anche perché indietro non si torna».

Naturalmente a un esperto del suo calibro non si poteva non chiedere un consiglio da dare ai giornalisti che stanno iniziando a fare questo mestiere. Steiger è ottimista: «La situazione attuale è molto stimolante per i giovani. È vero che per la mia generazione le cose sono state più facili. Abbiamo avuto l’opportunità di formare una famiglia, di avere un lavoro, i nostri figli sono potuti andare al college. Oggi si vivono esperienze dolorose, come la perdita del lavoro, ma io penso che per i giovani le opportunità siano enormi: potete sperimentare, non avete radici, non dovete stare fermi. I consigli sono di essere più creativi, tenere gli occhi aperti e usare i nuovi media».

E continua: «Negli Usa l’Università stanno diventando degli spazi dove si fa vero giornalismo e gli studenti sono motivati. In passato non c’era molta possibilità che i loro lavori venissero pubblicati, mentre adesso c’è il web che contribuisce a far aumentare queste opportunità. Ci sono infatti molte piattaforme in cui si può fare vera informazione. L’università è sicuramente un luogo da dove potete cominciare, per esempio». E se lo dice un Pulitzer come Steiger forse qualcuno dovrebbe aprire le orecchie.


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