Libere di essere schiave

Letterine, paperine, escort…  Sono tante, ma in fondo sempre uguali, le figure femminili a cui ci ha abituati la nuova società, rappresentata soprattutto dalla tv. Il problema sta, però, nel capire se si tratta di donne oggetto o soggetto. Recentemente il comportamento del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha dato modo di intendere che lui propende verso la prima definizione, provocando un intenso dibattito nella società civile. Ma qual è davvero il ruolo della donna oggi? Come si è evoluto nel tempo?  Sono solo sante o puttane? Né uno né l’altro? Ne abbiamo parlato con Emma Baeri, femminista attiva sin dalle origini del movimento, socia fondatrice della Società italiana delle Storiche, nonché ricercatrice e docente di storia moderna all’Università di Catania.

Concita De Gregorio su l’Unità chiama all’appello tutte le donne diverse dalle ‘pupe del premier’. Moltissime già le firme, lei che ne pensa? Firmerà?
Io non firmerò. Sia perché appelli ne abbiamo firmati molti e non cambia mai nulla, sia perché mi è sembrato che questo chiamare a raccolta tutte le madri, le  mogli, le figlie e nipoti di destra e sinistra esprima una mentalità pre-politica, antropologica, per cui tutte le donne sono accomunate dall’uguaglianza nell’oppressione, indipendentemente dai loro progetti, dai loro sogni, dalle loro relazioni, dalle loro alleanze politiche. Questa visione antropologica delle donne è reazionaria dal mio punto di vista, non lo vedo come un passo avanti, perché lo sforzo del movimento femminista è stato proprio quello di dire: “uguali nella relazione del dominio di sesso, però differenti allo stesso tempo”. Io con donne come la Santanché non ho nulla a che spartire, anzi mi offende la sua presenza.
Inoltre, se ne dobbiamo fare una questione di genere, qui la questione è la sessualità maschile. Dovrebbero essere gli uomini di buona volontà a sentirsi offesi da Berlusconi, prima ancora delle donne. Comunque capisco l’indignazione, anche io non ne posso più, anche perché tutto questo maschera i problemi reali della condizione delle donne e degli uomini.

Le nostre madri ci hanno cresciute nella convinzione di essere libere di scegliere della nostra vita, nel bene e nel male. Non è possibile che queste ragazze abbiamo liberamente scelto di puntare tutto sul corpo, partecipare alle feste del Presidente del Consiglio e farsi mantenere da lui?
Certo,  credo che anche loro siano figlie del femminismo anche se probabilmente lo disprezzano, perché questa parola attraverso i media è diventata una parolaccia. Hanno però interiorizzato senza saperlo, una idea di sé che una donna, anche colta, di 50 anni fa non aveva. Queste ragazze entrano in un mercato del lavoro terribile segnato da una precarietà soprattutto femminile e si misurano con un immaginario maschile che attraverso le televisioni private, ma non solo, è diventato dominante. Noi avevamo una maggiore capacità di indignarci, loro sono in qualche modo ‘schiave emancipate’. Non voglio assolvere questo sistema, ma non mi convince la colpevolizzazione di queste donne che chissà quante risate si faranno alle spalle di questo vecchio.

Le donne di oggi sono tutte figlie del movimento femminista che ebbe un ruolo importante dal ’68 al ’77 nella vita civile del paese, ma considerata la situazione crede che le femministe di allora abbiano sbagliato qualcosa o magari siamo noi della nuova generazione ad aver interpretato male il messaggio? Era ottimista per il futuro delle donne allora?
Nessuno di noi ha sbagliato. Le rivoluzioni non nascono mai dal nulla. Ci sono dei livelli di saturazione storica ed esistenziale per cui capita che delle generazioni siano investite da questa carica rivoluzionaria per cui non se ne può più e così capitò a noi. Eravamo una generazione politica che in un modo o in un altro si era misurata con il sogno dell’uguaglianza della generazione precedente, quella della lotta nella famiglia e nella scuola degli anni ‘60. Questo decennio è stato straordinario. Negli anni ‘70 eravamo molto impegnate a fare l’autocoscienza, il self-help – pratiche importanti senza dubbio – ma troppo poco a trasmettere il nostro messaggio alle nuove generazioni. Fu un  errore che capimmo dopo. Negli anni ‘80 il dibattito del femminismo spostò il fulcro del dibattito politico sul piano teorico. Alla teoria della differenza, ad esempio. Si passa dal femminismo dei contesti, in cui il primo contesto è il proprio corpo, a quello del pensiero. Io mi sono allontanata da questo tipo di femminismo, sono rimasta molto legata a quello degli anni ‘70 perché mi sembra che lì sia avvenuta la rottura con l’ordine simbolico dominante, da quando cioè il corpo femminile è stato messo al centro e la parola femminile sia venuta fuori proprio da questo corpo.

Con gli anni ’80 è arrivata anche la nuova religione del ‘dio denaro’ e del ‘dio successo’. Oggi anche molte ragazze che hanno studiato preferiscono spogliarsi e avere tanti soldi e facili piuttosto che occupare ruoli più impegnativi. Come mai secondo lei? E’ davvero tutta colpa (come dicono in tanti) di Berlusconi e delle sue tv?
Sì, negli anni ‘80 muta proprio il contesto politico e culturale dell’Italia. Molte cose potevano essere salvate e invece sono state buttate. Secondo me andava mantenuto tutto ciò che negli anni ‘70 aveva dato coraggio alle donne di parlare, di autorappresentarsi e questo avrebbe consentito una trasmissione di generazione che definirei più “carnale”. Credo che se questo fosse avvenuto non ci troveremmo in tale situazione. Certamente le tv, soprattutto private, hanno dato il loro contributo fornendo modelli di mascolinità e femminilità mercificabili. Poi, non è che tutte le epoche sono di crescita, di sviluppo, di lumi e le ragioni sono sempre molteplici.  

Ma è solo una questione di buoni esempi? Alcune donne ricoprono cariche importanti, anche se sono ancora poche.
Ci sono molte donne serie. Ma credo che la rottura non possa avvenire sempre attraverso una lotta di donne per le donne, a tutela della loro immagine; è bene che gli uomini si sveglino. Forse questa vostra generazione deve vedersela un po’ brutta, perché la prossima possa rompersi le ovaie, come si diceva una volta, di questa situazione e fare delle cose. Ci sono stati momenti in cui, in forme diverse, le giovani donne hanno preso la parola pubblica. C’è da dire che siccome la crisi è molto generalizzata, è difficile, io penso, per una ragazza, prendere la parola in senso “separatista”, perché i momenti di grande sofferenza sociale tendono a cancellare la differenza tra i sessi che è vissuta come un lusso. Io non sono pessimista, sono convinta che ogni generazione abbia un suo modo di reagire. Nella storia ci sono stati momenti di crescita e decrescita continui, è tutto in movimento, la storia è nel tempo.

Sembra che queste ragazze sacrificate sull’altare del successo, della carriera e dei soldi abbiano anche il beneplacito delle famiglie, almeno di alcune. Secondo lei è possibile trovare un equilibrio tra il ruolo della donna “indipendente” e quello della compagna, moglie, madre, figlia?
Il rapporto tra vita privata e lavoro è una questione enorme che ha sia elementi civili che di autocoscienza. Nella nostra Costituzione il lavoro è considerato dipendente, mentre quello detto “di cura” non è costituzionalizzato, ma ancora collocato sulla sfera naturale. Finchè la situazione rimarrà così le donne saranno sempre madri oblative. Il lavoro dovrebbe essere inteso, invece, come lavoro di cura e cura del lavoro. Tutti e due i sessi, cioè, devono essere messi in condizione dalle leggi dello stato di lavorare bene, con agio e con passione dentro e fuori casa. Le due dimensioni non solo sono compatibili, ma l’attrito che si crea tra queste due sfere è vitale e energetico. Una intelligenza che si misura quotidianamente con i problemi della cura è più attenta alla vita.


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