Asp Ct, l’inchiesta per abusi sessuali partita da una lettera di auguri: «Reina comanda sulla mia vita, è il mio padrone»

È il 25 febbraio del 2022, il giorno del suo 60esimo compleanno, e Giuseppe Reina – l’ex direttore sanitario dell’Asp di Catania, sospeso per un anno dall’incarico perché indagato per violenza sessuale – riceve a casa una lettera recapitata tramite posta ordinaria in busta chiusa. «Ci tenevo a farti gli auguri», è il rassicurante incipit della missiva. In cui, però, subito dopo, chi scrive svela le proprie reali intenzioni, che niente hanno a che fare con le felicitazioni. «Auspico che, da vero porco e cesso in sembianze umane quale sei, tu possa finire nelle patrie galere. L’unico posto dove meriteresti di stare per le tue spiccate doti banditesche […] Ci godi proprio a rovinare la vita agli altri e a ricattarli in modo che assecondino i tuoi spiccati appetiti da predatore sessuale». Reina, tramite un avvocato, reagisce depositando la lettera in procura, insieme ai suoi sospetti su chi potesse averla mandata. Tanto che allega anche dei messaggi – dal tono decisamente più dolce e amorevole – ricevuti lo stesso giorno su WhatsApp da una collega. Ed è da qui che partono le indagini. Che, però, prendono una strada opposta. «Quella dottoressa era una sua stalker – commenta l’avvocato Rosario Pennisi, difensore dell’ex primario di Chirurgia – È lui la vittima del fango che adesso è stato sollevato». Ma la procura la pensa diversamente.

Agli atti dell’inchiesta, ci sono 19 episodi ripresi dalle videocamere installate nell’ufficio di Reina all’ospedale Santissimo Salvatore di Paternò tra maggio e ottobre del 2024. Stando a quanto ricostruito, tra le vittime dei presunti abusi sessuali ci sarebbero una medica chirurga, una specializzanda, un’infermiera, una anestesista e un’amministratrice contabile. Per l’accusa, l’allora primario avrebbe agito «in virtù del rapporto di superiorità gerarchica con ripetute condotte vessatorie, che provocavano una abituale prevaricazione e umiliazione» nelle sue vittime. Reina avrebbe ridotto i turni di sala operatoria di una chirurga, fino a quando la donna non avesse iniziato a intrattenere rapporti sessuali con lui; avrebbe costretto una vittima anche a occuparsi di sue incombenze personali e familiari (dalla ricerca di preventivi, per la location della festa di laurea del figlio, al trasporto di ortaggi a casa, per non sporcare la propria macchina, fino a una ricarica telefonica). Stando alle ipotesi avanzate dall’accusa, avrebbe pure prospettato delle ripercussioni negative sul piano professionale, «mantenendola sotto il suo dominio, facendo leva sulla consapevolezza della vittima dei molteplici rapporti istituzionali e con esponenti politici che lo stesso vantava».

A una delle vittime, in particolare, Reina non avrebbe fatto mistero di una propria «perversione», dicendo e scrivendo alla donna di voler vedere altri uomini abusare di lei sessualmente o che avrebbe voluto avere rapporti con altre persone, anche con delle sue amiche. Al punto che la donna racconta al pubblico ministero di essersi fatta portavoce della proposta a una conoscente che, però, l’avrebbe «mandata a quel paese». Tra i documenti finiti negli atti dell’inchiesta, ci sarebbero diversi video porno con rapporti sessuali collettivi di uomini con una sola donna, che l’ex direttore sanitario dell’Asp etnea avrebbe inviato a una delle presunte vittime. «Ho provato a fargli capire che proprio non mi piaceva», racconta al pm la stessa lavoratrice a cui Reina avrebbe regalato della biancheria intima, nella speranza di vederla indossata: perizomi e un reggiseno aperto sui capezzoli. «Maltrattava la vittima, la prevaricava, la umiliava con atti sessuali in condizione di umiliazione e sottomissione, approfittava della sua condizione di subordinazione, le rendeva intollerabile sia il contesto lavorativo che la propria vita privata», si legge nelle carte dell’inchiesta. Tutto questo, secondo quanto è stato accertato nel corso delle indagini, sarebbe andato avanti dal settembre del 2018 all’aprile del 2024, con i presunti abusi sessuali che sarebbero stati compiuti sia nel suo ufficio in ospedale che, in alcuni casi, nella sua casa di villeggiatura a Nicolosi.

Compresa una stanza delle visite, davanti ai pazienti, e anche in sala operatoria. Diversi gli ambienti ospedalieri in cui Reina avrebbe rivolto avances sessuali, palpeggiato il seno e il sedere di una dottoressa, chiesto a una chirurga di sedersi sulle proprie ginocchia, chiedendole se le fosse venuto «desiderio», ma anche compiuto atti sessuali. «Sali sopra? Lo sai che voglia avrei? Che mentre mi fai un pompino ti guardano. Ti piacerebbe farlo con due?». È questo il tenore di alcuni messaggi inviati dall’ex primario a una operatrice sanitaria che quotidianamente, ma senza alcun motivo di lavoro, sarebbe stata convocata nella sua stanza. «Smettila, non mi fare innervosire, basta!», avrebbe risposto la donna con rifiuti che sembrano inequivocabili. In una occasione, Reina avrebbe anche invitato una collega a interrompere la visita a un paziente con una scusa: «Un attimo, gli dici: “Devo andare a sbrigare un’urgenza e torno” e aspettano dieci minuti». Nonostante il tentativo di contrapporre dei rifiuti, gli incontri con diverse donne ci sarebbero stati. Grazie a «un atteggiamento di pressante insistenza – secondo l’accusa -, approfittando anche del timore ingenerato dalla posizione di potere».

Un potere che, nei racconti delle presunte vittime davanti al pubblico ministero, si sarebbe manifestato in almeno due diverse forme. Da una parte c’è chi ha parlato di avere subito «un atteggiamento di terrorismo psicologico»; dall’altra, invece, chi ha negato ogni cosa, almeno prima di sapere di essere stata ripresa dalle videocamere installate per le indagini. E, solo dopo essere stata informata, aver tentato di giustificare l’accaduto come un fatto avvenuto «senza obbligo né costrizione – racconta una donna – Mi sono fatta prendere dal troppo affetto, dalla paura di perdere la sua protezione». Tra le donne ascoltate, c’è anche chi ha raccontato di essersi accorta che il dottore palpava le parti intime di un’altra collega davanti a lei. «Questa mia collega si mise anche a piangere, aveva dei turni migliori in quel periodo. L’ha fatto anche con me. All’inizio io facevo finta di niente. Per essere trattata bene, purtroppo dovevi starci con lui. Nella mia testa – prosegue la donna nella sua testimonianza – pensai che dovevo fargli capire che ci stavo e poi, magari, non accondiscendevo alle sue richieste sessuali». A un certo punto, però, anche lei sarebbe finita a subire degli abusi nella stanza di Reina, nonostante un «per favore, no» pronunciato poco prima sulle scale. «Mi disse che era innamorato […] Pensavo che l’unico modo per sopravvivere era fingere questo innamoramento […] Durante i rapporti mi prendeva a mazzate, mi dava botte. Una volta gli ho scritto: “Non fare queste cose perché sono piena di lividi” […] Lui comanda su tutto, sulla mia vita, io non posso fare movimenti salvo che mi ammazzo. Lui è comunque sempre il mio padrone […] Avevo paura e – conclude la donna – ho paura di questa persona».


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