L’avvocato, i boss e gli affari per conto di Cosa nostra Dal salvadanaio anche i soldi per il tritolo di Di Matteo

I colletti bianchi come cerniera tra la Palermo bene dei salotti e la mafia dei boss del calibro dei Graziano e dei Galatolo. Professionisti insospettabili dal curriculum cristallino stufi di essere semplici prestanome che si spendono attivamente «diventando organici a Cosa Nostra, scegliendo di delinquere e adoperandosi per il sodalizio mafioso e per rafforzarla». Al punto da prestarsi anche alla buona riuscita di un’operazione immobiliare, una trentina di box da vendere, per conto della cosca dell’Acquasanta, allo scopo di incassare 250 mila euro per acquistare l’esplosivo da utilizzare per uccidere il pm Nino Di Matteo, com’è emerso durante l’operazione Cicero della Guardia di Finanza che ha portato all’arresto di nove persone. A occuparsi della vendita, e di praticamente tutte le operazioni finanziarie del costruttore mafioso Vincenzo Graziano e del boss Vito Galatolo negli ultimi 15 anni, secondo la procura di Palermo sarebbe stato l’insospettabile avvocato civilista Marcello Marcatajo, ora accusato di riciclaggio e reimpiego di capitali illeciti, con l’aggravante di aver agevolato Cosa nostra. Il suo nome, infatti, compare tra quelli finiti in manette oggi nell’operazione del Nucleo speciale di Polizia valutaria delle fiamme gialle. In carcere sono finiti Francesco Cuccio, 67 anni, Angelo Graziano, 36 anni, Francesco Graziano, 41 anni, Vincenzo Graziano, 64 anni, Marcello Marcataio, 68 anni. Ai domiciliari Maria Virginia Inzerillo, 37 anni, Giorgio Marcatajo (figlio dell’avvocato), 32 anni, Giuseppe Messeri, 49 anni, Ignazio Misseri, 25 anni.

A indirizzare gli inquirenti sulle tracce del professionista, un pizzino rivenuto durante la perquisizione a casa di Francesco Graziano nell’ambito dell’operazione Apocalisse, il giorno del suo arresto, il 23 giugno 2014. Documenti poi confermati da Galatolo, passato tra le fila dei collaboratori di giustizia. Tra le scartoffie passate al setaccio, gli investigatori hanno scovato  il nome di Marcatajo. E proprio dai quei documenti risultava che la società di costruzioni Igm srl, non era di Marcatajo ma era un «salvadanaio» della famiglia Graziano che aveva trasferito lì i suoi beni. Niente conti bancari o assegni: tutto avveniva sul rapporto di fiducia speciale che legava il professionista ai boss. Un rapporto che secondo il procuratore aggiunto Vittorio Teresi si instaura agli inizi degli anni duemila al punto da diventare «salvadanaio e consulente finanziario dei Graziano e dei Galatolo». A quel punto il professionista è stato intercettato per mesi. Dalle conversazioni registrate emergono persino i timori di Marcatajo che, dopo il pentimento del capomafia, era preoccupato di essere arrestato.

Dalle minuziose indagini sui conti correnti e le aziende di Marcatajo, che faceva soltanto da prestanome, è emerso così uno spaccato degli affari condotti dall’avvocato per conto dei Graziano. Attraverso l’Igm srl, ad esempio, gestiva diverse operazioni commerciali per conto dei clan, tra cui un grosso appalto per la costruzione di decine di villette a Marino, vicino Roma e la vendita di due villette a Mondello. Proprio da Marcatajo, all’epoca insospettabile professionista, l’ex presidente dell’Ars Francesco Cascio acquistò una delle due villette che ora è finita sotto sequestro. Una vendita andata in porto proprio grazie al buon nome dell’avvocato, stimato professionista della buona società ma esempio di quella zona grigia che molto spesso si allea alla mafia. 

«I risultati di questa indagine – dice Teresi – offrono uno spaccato di quello che è la palude dei professionisti a servizio della mafia. Come nel caso di un professore universitario che si presta consapevolmente agli affari di Cosa nostra». Le indagini, inoltre, hanno permesso di far luce anche su un altro inquietante episodio che riguarda l’acquisto dell’esplosivo da utilizzare per uccidere il pm Nino Di Matteo. Una trentina di box da vendere, per conto della cosca dell’Acquasanta, allo scopo di incassare 250 mila euro, una parte dei quali da destinare alla realizzazione del piano di morte sollecitato a fine 2012 anche da Matteo Messina Denaro. A occuparsi della vendita, secondo la Procura, sarebbe stato proprio Marcatajo. «Attraverso le indagini economico finanziarie – chiarisce Teresi – abbiamo verificato che quella vendita effettivamente c’è stata così come il ricavato. Ma da questa indagine non è emerso se quei soldi sono stati utilizzati per acquistare il tritolo. Però emerge uno spaccato di ulteriore verosimiglianza – conclude – un contributo di riscontro documentale delle dichiarazioni di Galatolo». 

La Finanza ha perquisito lo studio dell’avvocato e alla perquisizione, come prescrive la legge, ha presenziato un rappresentante del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati palermitani. Le Fiamme Gialle, hanno sequestrato personal computer, documenti e una pistola a tamburo da collezione non denunciata.


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