Dopo il moltiplicarsi di infezioni da brucellosi nei primi mesi dell'anno, l'istituto zooprofillatico diffonde i dati regionali. Nella provincia peloritana il nove per cento del bestiame è portatore della malattia. Contro una media siciliana del tre. «Sui Nebrodi entrano in contatto con gli animali selvatici»
Latte infetto, nel Messinese il triplo dei casi «Il problema è l’allevamento a stato brado»
Messina è la provincia siciliana più colpita dalla brucellosi. Un dato inequivocabile, diffuso dopo appurati controlli dall’Istituto Zooprofilattico, secondo il quale la maggioranza delle aziende che allevano bovini colpiti dal virus, si trova sul territorio peloritano. I numeri parlano chiaro: su 1.827 aziende monitorate, 177 sono risultate positive ai controlli. Il nove per cento dei capi di bestiame allevati nel Messinese è portatore di brucellosi, un dato tutt’altro che irrilevante se si considera la media regionale che si attesta al tre per cento.
Il problema è emerso in seguito all’epidemia di brucellosi scoppiata lo scorso gennaio. Il contagio ha riguardato 27 persone che avevano consumato del formaggio durante una sagra natalizia organizzata nel piccolo villaggio di Tipoldo. L’Asp scoprì in seguito che il prodotto era stato realizzato con latte infetto. Nella classifica sul numero di aziende risultate positive al virus, Messina è seguita da Ragusa (3,54 per cento), Catania (2,93 per cento), Enna (1,87 per cento), Siracusa (1,65 per cento), Trapani (1,06 per cento), Palermo (0,80 per cento), Caltanissetta (0,55 per cento), Agrigento (0,21 per cento). Per quanto riguarda, invece, gli allevamenti ovi-caprini, dopo Messina, ci sono le province di Trapani (6,38), Siracusa (4,62), Caltanissetta (4,37), Catania (4), Agrigento (3.64), Enna (2,75), Palermo (1,88), Ragusa (1,18). Nella provincia di Messina, inoltre, c’è una seria difficoltà a garantire un monitoraggio costante ed efficace delle aziende, è l’unico territorio in cui le verifiche sui bovini coprono solo l’80 per cento. A differenza del resto dell’Isola dove si raggiunge la totalità, a Messina il 20 per cento dei produttori sfugge agli accertamenti sanitari.
L’eccezionalità della provincia peloritana non sarebbe però riconducibile soltanto alla scarsa attenzione degli allevatori messinesi. Il problema è prima di tutto legato alla particolarità del territorio. Lo conferma lo stesso Istituto Zooprofilattico. «La colpa non può essere attribuita alle aziende – spiega il direttore sanitario regionale Santo Caracappa – la provincia messinese è molto vasta e presenta peculiarità dal punto di vista orografico. Sui Nebrodi contiamo ben 100mila esemplari di capre e la maggioranza delle fattorie praticano l’allevamento allo stato brado. Ciò rende difficoltoso il controllo, poiché il bestiame entra frequentemente in contatto con gli animali selvatici che vivono nei boschi e può dunque essere contaminato». Caracappa non nasconde la preoccupazione. «I numeri sono allarmanti – ammette – ma dipendono strettamente dalle particolari condizioni in cui bovini e ovini vengono allevati. Nel Ragusano, ad esempio, le aziende sono concentrate in una precisa porzione di territorio, in provincia di Messina contiamo invece allevamenti disseminati ovunque».
I sintomi della brucellosi sull’uomo sono febbre, brividi, debolezza, dolori articolari e muscolari, mal di testa, eccessiva sudorazione notturna. Che spesso possono essere confusi con una semplice influenza. La terapia da seguire è lunga e fastidiosa, ma garantisce la completa guarigione. L’Azienda sanitaria provinciale ha aumentato i controlli sui prodotti caseari e in una nota il direttore Gaetano Sirna si è rivolto direttamente ai cittadini, invitandoli ad evitare l’acquisto di latte, ricotta e formaggi non confezionati e privi di etichetta.