Santi Sciacca ha 29 anni ed è originario di Patti. Da tempo vive a Roma, dove studia per specializzarsi in Medicina interna. Domani prenderà un volo per l'Africa, nell'ambito di un progetto di Medici con l'Africa Cuamm. «Il miglior aiuto che si può dare è andare sul posto e mettersi a disposizione», racconta
Lasciare l’Italia per andare a lavorare in Etiopia «Voglio curare malattie che qui non ci sono più»
«Essere nati in Italia è una fortuna, ma ignorare le disuguaglianze non è corretto. Bisogna fare qualcosa per aiutare chi sta peggio». Risponde così il 29enne Santi Sciacca a chi gli chiede il motivo che l’ha spinto a decidere di partire per l’Africa. Nativo di Patti, in provincia di Messina, Sciacca è un giovane medico da anni residente a Roma. Domani si trasferirà a Wolisso, cittadina etiope a due ore di strada dalla capitale Addis Abeba, dove parteciperà al progetto Jpo di Medici con l’Africa Cuamm, storica organizzazione italiana per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni del Continente nero.
«Starò in Etiopia per sei mesi – racconta il 29enne a MeridioNews -. Sono molto emozionato perché mi appresto a vivere un’esperienza del tutto nuova in un Paese con molti problemi. Lavorerò in un ospedale di periferia, molto diverso dal Policlinico Tor Vergata di Roma in cui sto seguendo la specializzazione in Medicina interna. L’obiettivo è quello di rafforzare un comparto sanitario già esistente, una sfida che spero di vincere».
Per il giovane medico siciliano l’idea di partire e vivere nuove esperienze professionali ha radici lontane. «Ho maturato questa decisione lentamente – spiega Sciacca -. Il primo passo è stato quello di lasciare la mia Patti per andare a studiare e lavorare a Roma. Nel 2012 ho iniziato a fare volontariato con la Caritas, curando la parte ambulatoriale in un centro d’accoglienza vicino la stazione Termini. Sono stato in contatto con migliaia di migranti, ascoltando i loro problemi e curando le loro ferite. Da qui – continua – ho capito che potevo dare il mio contributo direttamente sul campo, confrontandomi con malattie che da noi non esistono più e cercando di dare una mano ai meno fortunati. Per me – sottolinea – è un bisogno da soddisfare. Paure? L’unica è quella di non essere all’altezza».
La decisione di Sciacca è stata apprezzata anche da parenti e amici. «La mia famiglia mi ha sempre appoggiato. Chiaramente – ammette – sono preoccupati, ma sanno che vado a vivere un’esperienza che mi arricchirà notevolmente sia dal punto di vista umano che dal punto di vista professionale. Condividerò il mio lavoro con altri specializzandi e saremo seguiti da un tutor italiano». In tema di aiuti umanitari, Sciacca rivolge poi un invito a fare di più. «Credo che il miglior sostegno lo si può garantire recandosi sul posto, per cercare di capire come si può esser utili. Questa è la vera cooperazione: portare risorse e voglia di fare in una Paese in via di sviluppo. Si tratta di un apprendimento bilaterale perché se è vero che per un medico i pazienti sono tutti uguali – conclude – è altrettanto vero che ognuno ha una storia da raccontare».