La farfalla di Marat

Quest’oggi voglio scrivere di arte, ma non di nobile arte in quanto penso che questa arte sia in questo tempo scomparsa e volatilizzata e potrei parlare solo di arte “tecnica”. Io credo quindi che sia molto più interessante parlare di arte povera, ovvero del movimento artistico sorto in Italia nella metà degli anni Sessanta.
Naturalmente parliamo di arte concettuale in aperta polemica con l’arte tradizionale, che non avrebbe mai potuto far ricorso a materiali poveri come terra, legno, ferro, stracci, plastica e scarti industriali, ovvero usando materiali anche corrosi, che costituivano parte integrante dei linguaggi contemporanei, ma riducendone fortemente i segni attuali impoverendoli e annullandoli.
L’arte povera nascendo si scagliò contro il concetto di unicità dell’opera d’arte che è sempre seconda rispetto alla natura, e lo fece utilizzando in tal senso anche oggetti viventi, come accadde nel caso di Kounellis che fissò un pappagallo su una tela dipinta.
E nella fattispecie voglio proprio parlarvi dell’artista grecoromano Jannis (Giovanni) Kounellis, che nasce nel Pireo ma si trasferisce appena ventenne a Roma naturalizzandosi come cittadino italiano.
Kounellis, artista oggi settantaquattrenne, che utilizza uccelli, cactus, uova, cavalli, fiori ed anche farfalle per quel che riguarda oggetti organici ed è storica l’affissione di una farfalla sul quadro Marat di David. Il Marat assassinato che artisticamente risorge attraverso l’affissione di una farfalla che diviene una performance creativa.
Kounellis artista provocatorio con 14 cavalli vivi legati alle pareti nella galleria ‘L’Attico di Fabio Sargentini’, come sontuoso scontro tra natura e cultura, in cui il ruolo dell’artista è ridotto al minimo perché il suo apporto è esclusivamente manuale, ovvero quello di legare i cavalli alle pareti. Altri artisti per questo gli tolsero il saluto.
Jannis è uno dei grandi maestri dell’arte contemporanea mondiale, le cui opere sono esposte al Guggenheim di New York ed alla Tate Modern di Londra.
Kounellis è recentemente rientrato dalla Cina dove è stato insieme al noto gallerista romano Giuseppe Marino, inaugurando una mostra in una galleria pubblica intitolata “Tradurre la Cina”. E’ la seconda volta che Kounellis si reca in Cina dopo l’esposizione al “Today Art Museum” di Pechino. E fu proprio in un mercato all’aperto di Pechino che notò piramidi di porcellane frantumate, materiale di risulta del periodo maoista che con le guardie rosse della Banda dei Quattro entrava nelle case borghesi facendo a pezzi le porcellane. Le porcellane rinvenute e collazionate su lastre di ferro grandi quanto un letto, pesanti quattrocento chili, formando un’opera d’arte con due materiali eterogenei come ferro e porcellana.
E’ chiaro l’invito a guardare i grandi spazi ove si mostra una pittura scesa dal cavalletto. Jannis Kounellis pur non avendo mai fatto quadri si definisce pittore chiosando che: “La pittura è costruzione di immagini. Ed è tale se è rivoluzionaria, senza freni per l’immaginazione.”
E questo mi fa chiedere se è realmente finito quel movimento d’avanguardia definito arte povera, che ha contaminato l’espressione artistica con le sue creazioni iconoclaste e distruttive. E’ forse finita l’arte di Kounellis che compra coloratissimi vestiti da bambina in Cina e li distende sulle lastre? Io sinceramente credo di no.
L’accoglienza cinese è stata divisa tra stupore e meraviglia nel vedere riproposta una loro espressione artistica, culturale e millenaria come le porcellane che sono toccate, amate, masticate e vomitate per essere ricomposte in magici ed artistici afflati.
E’ l’atteggiamento di negazione che vuole riappropriarsi di un’energia pura che osserva, tocca, modifica e reinventa la realtà, anche distaccandosi da ordini precostituiti per approdare nella poetica, nella libertà della reinvenzione, nei valori dello spirito. Valori ineludibili sempre presenti nell’arte e nel senso dell’Arte. Arte che sarà anche “povera” cosa, ma è pur sempre cosa…

 


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