Inauguriamo questa rubrica occupandoci del caso che è al centro del dibattito giuridico sportivo degli ultimi giorni: il caso che vede coinvolto Jannik Sinner, il tennista più forte al mondo e che, se da un punto di vista mediatico ha raggiunto praticamente chiunque – appassionati di tennis e non –, da un punto di vista […]
Il caso Jannik Sinner: dalla sospensione all’accordo con la Wada. Ecco come anticipa le novità del codice antidoping
Inauguriamo questa rubrica occupandoci del caso che è al centro del dibattito giuridico sportivo degli ultimi giorni: il caso che vede coinvolto Jannik Sinner, il tennista più forte al mondo e che, se da un punto di vista mediatico ha raggiunto praticamente chiunque – appassionati di tennis e non –, da un punto di vista giuridico mette in luce aspetti di una disciplina particolarmente complessa (e controversa) come quella antidoping. Veniamo dunque al caso. L’attuale numero uno al mondo, nonché uno dei più forti tennisti italiani di tutti i tempi, è stato sospeso per tre mesi a seguito dell’accordo raggiunto con l’Agenzia Mondiale Antidoping. Accordo non privo di precedenti (da quando il codice Wada ha previsto questa possibilità, nel 2021, ne sono intervenuti ben 67) e che ha accontentato tutte le parti in causa, tranne forse i più appassionati sostenitori dell’altoatesino. Ma partiamo dall’inizio, perché i processi, anche quelli sportivi, si incentrano sui fatti e torniamo dunque indietro di circa un anno, al 10 marzo del 2024, quando un test antidoping effettuato ad Indian Wells su Jannik Sinner ne rileva la positività al Clostebol, uno steroide anabolizzante proibito dalla Wada. L’accertamento viene ripetuto a distanza di pochi giorni, il 18 marzo, e conferma la presenza di un metabolita della sostanza in un campione biologico – l’urina – del tennista.
La vicenda ricorda quella meno nota di Stefano Battaglino, tennista di livello minore rispetto a Sinner (ha raggiunto la posizione numero 760 nel ranking Atp nel suo momento migliore) trovato positivo alla stessa sostanza in occasione di un controllo durante un torneo a Casablanca nel 2022. Situazioni simili ma conseguenze molto diverse, se pensiamo che il ventiseienne piemontese dovrà scontare ben quattro anni di squalifica. Ma di questo e di altri casi simili tratteremo prossimamente, per intendere meglio le intenzioni del legislatore sportivo e farci un’idea più chiara di come si possa giungere ad esiti tanto differenti, pur in presenza di situazioni – almeno in apparenza – simili. Per il momento, torniamo al campione nostrano. Cosa succede in questi casi? Solitamente, l’atleta riscontrato positivo ai test viene immediatamente sospeso e, in effetti, anche per Sinner è intervenuta la sospensione dopo il primo accertamento (confermata a distanza di pochi giorni, all’esito del secondo test). L’atleta ha tuttavia presentato ricorso al tribunale indipendente nominato da Sport Resolutions, la società privata che supervisiona i casi di doping, ottenendo in entrambi i casi la revoca immediata della sospensione, in attesa di chiarire la propria posizione. Verrebbe allora da chiedersi come mai, a differenza del collega piemontese, il vincitore degli Australian Open abbia potuto continuare a giocare.
La ragione risiede nelle spiegazioni fornite dall’atleta altoatesino al tribunale indipendente, che le ha ritenute plausibili e veritiere. In breve, prima di partire per la California, uno dei massaggiatori di Sinner avrebbe acquistato presso una farmacia italiana, indicata negli atti difensivi, uno spray utilizzato per cicatrizzare le ferite, il Trofodermin: un farmaco da banco, acquistabile da chiunque senza ricetta medica e in qualsiasi farmacia, che contiene, tra i propri componenti, il Clostebol. Il problema non si sarebbe mai dovuto porre, perché lo spray sarebbe stato usato solo dal massaggiatore e non dal tennista, ma pare che, per disattenzione, un altro componente dello staff di Sinner ne avrebbe fatto uso personale giusto prima di eseguire alcune sessioni di massaggi sull’atleta: durate diverse ore ed effettuate a mani nude, senza guanti. Circostanza che, insieme alla presenza di diverse ferite aperte, soprattutto nella zona dei piedi di Sinner, avrebbe favorito la contaminazione e, dunque, la positività ai due test antidoping. Questa, in sostanza, la versione dei fatti fornita dal tennista. Interviene poi il parere degli esperti, i consulenti tecnici della commissione che ha fornito il proprio parere professionale al tribunale, tutti concordi nel ritenere che la quantità di sostanza rinvenuta nell’organismo dell’atleta fosse talmente irrisoria da potersi sostenere che la contaminazione fosse avvenuta per come indicato dall’atleta e, cioè, tramite l’attività del fisioterapista.
Peraltro un livello di sostanza così basso che, per uno dei consulenti indipendenti, in alcun modo avrebbe potuto avere un effetto dopante, cioè aiutare il giocatore a migliorare le proprie prestazioni sportive. La vicenda si è così conclusa in prima battuta lo scorso agosto, con una pronuncia di riconoscimento della non colpevolezza del tennista, che ha rinunciato al montepremi e ai punti conquistati ad Indian Wells; rimangono invece i montepremi e punti ATP conquistati da Sinner nel successivo torneo di Miami. La Wada, l’agenzia mondiale antidoping, come suo diritto, ha presentato ricorso in appello contro la decisione di primo grado innanzi al TAS, il Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna, obiettando – in estrema sintesi – che gli atleti sono responsabili (responsabilità oggettiva) per le azioni dei propri collaboratori e richiedendo, per questo, un periodo di ineleggibilità compreso tra uno e due anni. La partita, quindi, non era ancora chiusa: il tennista rischiava una condanna fino a due anni, in uno scenario in cui il tribunale indipendente di primo grado e l’ITIA, l’Agenzia internazionale per l’integrità del tennis, avevano escluso il dolo dell’atleta. Quadro tutto sommato condiviso anche dalla stessa Wada, che ha deciso di raggiungere – come previsto dal codice mondiale antidoping – un accordo di risoluzione del caso, con una sanzione ridotta, tenuto conto della gravità della violazione. «La Wada (e il suo consulente legale esterno) hanno infine ritenuto che una sanzione di 12 mesi sarebbe stata eccessivamente severa. Per questo motivo, la Wada era disposta a stipulare un accordo di risoluzione», spiega la stessa agenzia in un comunicato ufficiale.
Un accordo in perfetta sintonia con l’orientamento che nel prossimo futuro porterà il legislatore sportivo a revisionare il codice mondiale antidoping in un senso più clemente verso i casi di contaminazione, per come anticipato nel medesimo report dalla stessa Wada: «Prima ancora che il caso di Jannik Sinner emergesse, il team che sta redigendo il nuovo codice Wada per il 2027 aveva proposto una maggiore flessibilità per i casi di contaminazione, come quello di Sinner, prevedendo un intervallo di sanzioni che va da un semplice avvertimento fino a due anni (ovvero eliminando il minimo di un anno per le sostanze non specificate). Questa modifica è stata ampiamente accolta dalla comunità antidoping, data la crescente consapevolezza della diffusione di situazioni di contaminazione imprevedibili». Vedremo quali saranno gli sviluppi futuri e che effetti avranno nel sistema Sport. Tornando al campione di San Candido, per lui il periodo di squalifica è iniziato il 9 febbraio scorso, pertanto potrà allenarsi in maniera ufficiale solo a partire dal prossimo 14 aprile. Niente Masters 1000 sul cemento americano (Indian Wells e Miami) quindi, né terra rossa di Montecarlo e Madrid. Idem per il torneo di Monaco. Lo rivedremo sul campo in occasione degli Internazionali d’Italia, dal 7 al 18 maggio a Roma, dove, tra l’atro, pare lo attenda un’accoglienza da re: una suite personale che dominerà i campi, irraggiungibile per chiunque tranne che per l’atleta e la sua famiglia, «il suo Forte Apache al Foro Italico», come annunciato dal presidente federale Angelo Binaghi. Ma noi non vediamo l’ora di vederlo in campo.