Valentina Campanella, mediatrice socioculturale e presidente di Anolf Cisl Sicilia parla del disegno di legge già approvato alla Camera, ormai fermo da mesi in commissione Affari costituzionali al Senato. Anche se si tratta di un primo passo, afferma, sarebbe necessaria una versione della norma senza troppi paletti: «l'Italia sarebbe il primo caso in cui si applica la cittadinanza in base al censo»
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«Rappresenta un passo in avanti, ma questa versione reca dentro di sé la paura di veder diventare cittadini italiani gli stranieri e si ricollega a quella, alimentata da una percezione distorta, di essere invasi. Ciò ha spinto il legislatore ha predisporre dei paletti, mentre noi riteniamo che le modifiche apportate, anche se non stravolgono la legge ordinaria del 1992, sono carenti sotto molti aspetti». Sintetizza cosi Valentina Campanella, mediatrice socioculturale e presidente di Anolf Cisl Sicilia – Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere – il disegno di legge per la riforma della cittadinanza, già approvato alla Camera, ormai fermo da mesi in commissione Affari costituzionali al Senato. Non è un mistero che il testo, ancora in forma embrionale, sia osteggiato da molte forze politiche – Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia – e che la versione attuale non prevede in effetti lo ius soli in senso stretto, il diritto a diventare italiani per tutti quelli che nascono sul suolo italiano. Ma si tratti, bensì di una forma temperata da alcuni limiti, per restringerne in qualche modo lo spettro d’azione.
«Avere presentato una proposta di legge in Parlamento è di per sé positivo – prosegue Campanella -, ma si tratta pur sempre di una forma di Ius soli temperato e non puro, con diversi paletti che ne limiteranno l’efficacia. Un peccato perché questa legge nella forma autentica darebbe la possibilità a tanti ragazzi di aver riconosciuto un diritto ormai acquisito. E ciò per colpa di fobie senza fondamento». Si stima che solo nella città metropolitana di Palermo sono nati lo scorso anno 483 minori stranieri, appena il 4,3 per cento sul totale (dati contenuti nel rapporto annuale sulla presenza di migranti nelle città metropolitane, elaborati da Anpal servizi, nell’ambito del progetto La mobilità internazionale del lavoro ndr). Una percentuale di gran lunga inferiore a quella nazionale (il 15,2 per cento su un totale di 75.067 nati stranieri). «Sono tanti i bambini che non hanno la cittadinanza italiana e sono nipoti di immigrati che sono giunti qui oltre vent’anni fa – prosegue – Molti di loro ignorano la cultura e la lingua del Paese d’origine dei loro genitori o dei loro nonni. Alcuni, pochi, mantengono il legame con la propria terra, ma dipende molto anche dalla famiglia: se è tradizionalista vivono questa dualità, ma la maggior parte dei giovani è perfettamente integrata, frequentano le scuole e parlano il nostro dialetto».
«Mi sento assolutamente palermitana, anche oggi che sono tornata dalla Tunisia ho detto che non vedevo l’ora di tornare a casa, a Palermo – spiega Nesrine Abdia, operatrice dell’Anolf – ho voluto dare una mano a chi si è trovato nella mia situazione ma purtroppo si è perso per strada. Nostra madre mi ha concepita qui e siccome tanti anni fa non aveva nessuno in città che si potesse occupare di lei sono nata a Tunisi. Siamo tornati qua che avevo sette giorni e quindi ho perso il diritto, a compimento dei 18 anni, di avere la cittadinanza». Una storia che non è un caso isolato ma «ce ne sono tanti altri di ragazzi nati e cresciuti in Italia – continua Abdia – e che qui hanno fatto il loro percorso formativo. Ma se nel corso dei 18 anni i genitori hanno perso il lavoro o hanno avuto qualche problema con la residenza, si ritrovano anche loro come me né carne né pesce, con una sensazione addosso terrificante, perché parli italiano, mangi italiano e hai amici. Ci sono ragazzi che non sono sono nemmeno mai stati nel loro Paesi d’origine, in particolare se parliamo di Mauritius, Sri Lanka e Ghana, visto il costo dei biglietti e del viaggio e si ritrovano a 18 anni senza permesso di soggiorno e senza cittadinanza». E a chi parla di invasione Nadine risponde che «non esiste. Quando sento parlare i politici discutono molto di numeri. Anche se si prende in considerazione chi è in arrivo, i numeri non sono così alti da giustificare questo termine anche alla luce che gli accordi che l’italia sta facendo con la Tunisia, la Libia, il Marocco e l’Algeria, non si può parlare di invasione». Nadine conta di restare qui: «Io sono a casa», conclude.
Intanto, il testo nella sua stesura attuale prevede che possano richiedere la cittadinanza i bambini stranieri nati in Italia con un genitore in possesso del permesso di soggiorno permanente da almeno cinque anni o del permesso di soggiorno europeo di lungo periodo. Ma l’acquisizione della cittadinanza non sarà automatica, si dovrà fare richiesta. Argini, per Campanella, dettati da presupposti che cozzano con la realtà. «Partiamo dal fatto che Palermo, ma ciò vale anche per la Sicilia, è una città dove la presenza dei migranti non è così rilevante come in altre regioni – lo scorso anno, solo il 2,2 per cento della popolazione residente nell’area metropolitana di Palermo è risultata di cittadinanza non comunitaria (24.574) – Siamo una terra di sbarchi, ma difficilmente chi arriva rimane e i migranti residenti in Sicilia sono meno dell’opinione comune».
Il nuovo testo di legge, rappresenta dunque un miglioramento. Attualmente, lo status di cittadinanza si ottiene sempre su richiesta ma bisogna possedere dei requisiti stringenti: tra questi, risiedere sul territorio italiano da almeno dieci anni consecutivi. Ma la nuova legge, nella sua forma attuale, è contrassegnata anche da criticità che darebbero vita a un paradosso: una cittadinanza per censo. «Non tutti i figli di cittadini stranieri extracomunitari che rispondono ai requisiti possono chiedere la cittadinanza, ma solamente quelli che rispondono ai tre requisiti: almeno uno dei due genitori dovrà essere registrato all’anagrafe con una residenza legale, un reddito annuo non inferiore all’importo dell’assegno sociale e la prova di risiedere in un alloggio che risponde a requisiti di idoneità previsti dalla legge. Già tra queste righe, si scorge una sorta di discriminazione: l’Italia sarebbe il primo caso in cui si applica la cittadinanza in base al censo. Senza tralasciare che i figli di persone che hanno ottenuto il permesso di soggiorno per asilo politico non possono accedere alla richiesta, sfatando il mito che chiunque arrivi con gli sbarchi possa chiedere la cittadinanza».
Il testo, infine, prevede che a fare domanda sia uno dei due genitori, «una violazione del codice civile e della Costituzione che prevedono una responsabilità genitoriale e possono creare delle anomalie. Basti pensare che in Italia la natalità cresce grazie agli stranieri, e ciò vale anche per Palermo. Questa legge, seppur perfettibile – conclude – rappresenta comunque un punto d’incontro con ciò che chiede l’Europa».