Cronaca

L’omicidio di Anthony Bivona non si archivia. Le sorelle: «Uno spiraglio di luce, mai creduto al suicidio»

«Uno spiraglio di luce, nel tunnel in cui viviamo da ormai trenta mesi». Rende bene l’idea la metafora utilizzata da Mary e Grazia Bivona, le sorelle di Anthony Bivona. Il 24enne di Adrano (in provincia di Catania) trovato morto il 18 luglio del 2021 nella scale del pianerottolo della casa che aveva preso in affitto a Darmstadt, in Germania. Un caso presto archiviato come suicidio dalla polizia tedesca che poi era arrivato in Italia con l’apertura di un’inchiesta per omicidio contro ignoti ma per cui la procura di Roma aveva chiesto l’archiviazione. Adesso, la giudice per le indagini preliminari Flavia Costantini ha rigettato l’istanza e chiesto che si continui a indagare perché «le indagini, inizialmente svolte in Germania sono carenti».

A opporsi all’archiviazione erano stati anche i familiari del giovane, assistiti dall’avvocato Francesco Messina. «Sono soddisfatto che la gip di Roma ci abbia dato ragione sulla superficialità con cui la procura aveva deciso di archiviare sulla base di elementi particolarmente generici. Il supplemento di indagine ordinato dalla gip – sottolinea il legale che assiste la famiglia Bivona insieme all’avvocata Paola Paladina – cerca di colmare alcune lacune investigative che partono già a causa della sommarietà delle autorità tedesche che hanno proceduto nelle ore subito dopo i fatti». Tra le carenze più gravi c’è sicuramente il fatto che sul corpo senza vita del 24enne non era stata effettuata l’autopsia. Un esame che è poi stato effettuato anni dopo ma senza gli stessi risultati che avrebbe potuto dare all’epoca. E, in effetti, nell’ordinanza la gip ha fatto notare che il consulente nominato per l’autopsia «ha rilevato la presenza a livello cervicale di un solco da compressione cutanea» che, però, «non poteva essere meglio vagliato» per l’avanzato stato di decomposizione del corpo. La mancanza dell’immediato esame autoptico sul cadavere del 24enne, insomma, «ha comportato difficoltà nella ricostruzione dei fatti e nelle indagini».

Adesso la gip ritiene necessario effettuare ulteriori indagini «per meglio comprendere i motivi per cui la compagna di Bivona non abbia riferito circostanze veritiere» e per accertare se «è un suicidio, come ipotizzato dalla polizia tedesca, oppure un omicidio, come ritenuto dai familiari». Ed è per questo che la giudice ha disposto l’acquisizione del fascicolo delle indagini fatte in Germania, l’audizione di alcuni amici italiani della vittima a Darmstadt e della compagna Ilayda Tomptemel. «Nelle dichiarazioni da lei rese – mette nero su bianco Costantini nell’ordinanza – emergono contraddizioni rispetto a quanto risulterebbe riscontrato dalla polizia tedesca». Tra queste la gip cita il ritrovamento del cadavere, il taglio della cintura con cui il 24enne si sarebbe impiccato nelle scale e anche il ritrovamento del cellulare della vittima che sarebbe stato «utilizzato dopo il decesso, lontano dalla sua abitazione». E precisamente a 950 metri di distanza dalla casa. Una posizione che, tra l’altro, era stata cancellata dai dati del dispositivo e che è stato possibile recuperare solo tramite il lavoro del perito tecnico Gabriele Pitzianti. «Del cellulare – raccontano le sorelle a MeridioNews – non c’è traccia nelle foto scattate all’interno dell’appartamento dalla polizia tedesca il giorno del decesso, ma noi poi lo abbiamo trovato su un mobile». E non è la sola circostanza che non torna nella ricostruzione dell’intera vicenda.

Stando a quanto emerso finora, la notte del 18 luglio, il Bivona viene trovato senza vita sdraiato sulle scale del pianerottolo del suo appartamento. Secondo la polizia tedesca, si sarebbe impiccato nella ringhiera della tromba delle scale con una cintura di plastica e sarebbe morto per soffocamento. Nei documenti si legge, infatti, che avrebbe al collo i segni dell’impiccagione. L’unica testimone sentita dai poliziotti tedeschi è proprio la ragazza che avrebbe fornito versioni differenti. «Il proseguo delle indagini per noi è già un passo enorme – dicono le sorelle della vittima al nostro giornale – Non abbiamo mai creduto che mio fratello si sia suicidato e, finché saremo in vita, lotteremo per trovare la verità e la giustizia per Anthony».

Marta Silvestre

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