Il tesoro di Palazzolo, l’ex «manager di Cosa nostra» «In Sudafrica, dove per tutti è solo un imprenditore»

«La sua dote più grande? Fare soldi». Un tesoretto che negli anni ha continuato a crescere e a cui le autorità palermitane non hanno mai smesso di dare la caccia. Ma dov’è oggi l’impero di Vito Roberto Palazzolo, il terrasinese protagonista della storica indagine Pizza connection di Falcone e fedelissimo dei corleonesi? Quello che è certo è che da oggi una parte, seppur minima, gli viene congelata. Succede in Thailandia, dove la Corte reale civile ha sequestrato un conto corrente intestato a sua moglie, accogliendo una richiesta rogatoria partita dalla procura di Palermo. Una mossa per niente scontata e che ha fatto la differenza. Non un sequestro milionario, ma neppure di poco conto, fino a 40mila euro in contanti. «Per la prima volta viene accolto un provvedimento anche abbastanza forte all’estero, questa è la peculiarità. Ora ci aspettiamo che funga da volano anche verso altri Stati. Chissà, magari questo potrebbe rappresentare un cavallo di Troia per poi aggredire il resto del patrimonio di Vito Roberto Palazzolo».

Se lo augura fortemente il tenente colonnello Sorrentino, comandante del Gico di Palermo, anche lui sulle tracce del tesoro dell’ex boss arrestato nel 2012, dopo vent’anni di latitanza. Ma da dove partire? Per esempio dal suo Sudafrica. «È lì che si trova il grosso delle sue disponibilità finanziarie, economiche e patrimoniali – dice sicuro -. Sappiamo che, in generale, il vero patrimonio si trova all’estero. La nostra attività non si è mai arrestata, negli anni abbiamo fatto numerose riunioni, anche all’estero e meeting operativi in Sudafrica a cui abbiamo partecipato». Questo come anche altri Stati negli anni hanno offerto il proprio supporto a procura e finanza palermitane. Tuttavia il loro è stato, finora, un contributo che di fatto «non si è mai realmente concretizzato nell’emissione di un provvedimento cautelare ablativo nei suoi confronti». Almeno fino ad oggi. «È la prima volta che otteniamo una cosa simile da un’autorità estera, e parliamo di Thailandia, uno Stato anche geograficamente molto distante da noi», osserva Sorrentino.

Non bastano, però, le richieste. Bisogna che qualcuno dall’altra parte le accolga per poter fare passi avanti. A cominciare dal Sudafrica, dove «sono stati già individuati una serie di beni riconducibili a lui – rivela il tenente colonnello -. Ne abbiamo contezza investigativa, noi come la procura e la Dda di Palermo». Ma il problema rimane sempre lo stesso: quanto realmente avranno seguito le nostre richieste, avanzate già nel corso degli anni? «Palazzolo lì faceva il bello e il cattivo tempo, poteva godere di una serie di entrature a livelli molto alti, cioè godeva di rapporti con persone influenti, per i sudafricani lui non è altro che un ottimo imprenditore – precisa ancora -. Lì aveva una fabbrica di acqua, Le vie de Luc, con cui aveva appalti anche con la compagnia battente bandiera sudafricana». Ma investiva anche nel settore delle miniere e nell’immobiliare, non si faceva mancare niente, insomma. «C’è contezza di un patrimonio rilevante, chiaro che il sequestro di oggi rappresenta una goccia nell’oceano, ma l’importante è cominciare. Finalmente si è aperto uno squarcio».

In ballo ci sono, insomma, rapporti che sono anche extra Ue. «I canali di cooperazione internazionale e di autorità giudiziaria in Europa sono ben chiari e si punta sempre di più a una normalizzazione delle norme. Ma questa accettazione non vale per tutti gli altri Stati, auspichiamo a un’armonizzazione delle norme non solo a livello europeo ma mondiale – spiega -. Quando parliamo di mafia, parliamo di un fenomeno che punta ad altri territori, che è capace di andare oltre i confini nazionali ed europei, come il mercato di Vito Roberto Palazzolo, che infatti è andato in Sudafrica ed è da lì che sono partite alcune disponibilità finanziarie che lui ha allocato all’estero, una parte di questi, una sorta di salvadanaio di pronta cassa, è stato trovato in Thailandia, che ha accolto la richiesta rogatoria italiana e ha cautelato i beni. Da qui è un po’ difficile convincere altri Stati sovrani ad accettare le nostre norme, ma Cosa nostra e la mafia non possono continuare a essere un problema dell’Italia o della Sicilia, ormai è un’organizzazione transnazionale che non opera solo in Italia, opera ovunque possa trovare disponibilità». E non è una cosa di adesso, visto che uno dei più grossi traffici di droga di Cosa nostra ha valicato i confini siciliani ormai quarant’anni fa.

Catturato sette anni fa, Palazzolo mostrò un timido tentativo di collaborazione, che però non attecchì mai. «Si capì subito che non era effettivamente reale. Si è definito una vittima dei corleonesi, ma fu una trovata e una sorta di spiegazione che tentò di dare – racconta -, fin dai primi interrogatori si capì che in lui non c’era una reale volontà di dissociazione, non c’era da parte sua una volontà totalitaria, che deve esserci se si inizia un rapporto di collaborazione con le autorità, non si può dare seguito a un rapporto se non è chiaro e cristallino da entrambe le parti». Oggi si trova al Nord Italia in affidamento ai servizi sociali. «Non si può certo dire che sia ancora organico a Cosa nostra – precisa Sorrentino -, ma abbiamo tuttavia un dato di partenza. Lui è stato il tesoriere e il grande manager di Cosa nostra, oltre a essere stato anche il tesoriere di soggetti apicali come Riina e Provenzano. Ha una storia e una sua collocazione ben precisa all’interno di Cosa nostra, ma è stato il grande manovratore da un punto di vista manageriale, perché le sue doti di saper fare soldi erano ben note a tutti, è stato il riciclatore e il tesoriere dei più grandi mafiosi palermitani».

Non uno qualunque, insomma. Ma un soggetto di spicco. E che ancora oggi porta presumibilmente con sé non pochi misteri. «È depositario dei segreti economici di Cosa nostra, se ne porta parecchi dietro di segreti. Al di là degli oltre 40mila euro e del valore effettivo di quanto cautelato col sequestro, la cosa veramente importante è questa forte apertura della Thailandia verso di noi, è qui l’eccezionalità dell’operazione di oggi, la loro attenzione e sensibilità hanno permesso di fare la differenza. Speriamo accada ancora».

Silvia Buffa

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