Il teatrino del Teatro Massimo di Palermo

Povero Antonio. Non gliene va bene una. Ogni anno ha sempre nuove gatte da pelare, il sovrintendente del Teatro Massimo, Antonio Cognata. Lui minimizza, sostiene di aver risanato il bilancio, gravato da debiti fuori bilancio per 25 milioni di euro. Ma ha tutti contro: dipendenti, masse artistiche, perfino l’Associazione dei consumatori e i giudici del lavoro. C’è stato perfino chi, fra i critici e gli spettatori, nell’intervallo del bellissimo spettacolo diretto da Terry Gilliam , in apertura di stagione, rideva a crepapelle per lo svarione di pochi mesi fa: nel folder della stagione, stampato in tremila copie ( ma anche nel sito) “La damnation de Faust” era firmata da Gounod. Peccato però che l’autore fosse Hector Berlioz. E se una provvidenziale manina ha fatto sparire lo svarione dal sito dopo alcuni giorni, l’errore marchiano, scripta manent, verba volant , è rimasto nei folder e ha fatto sorridere il gotha dei critici e l’ultimo dei pazientissimi abbonati del Massimo.
Già, gli abbonati al prestigioso Teatro di Palermo. Che non ne possono più delle vessazioni a cui sono stati costretti, tanto dall’aver intrapreso (e vinto) una battaglia legale contro i vertici del Massimo, rei di avere cambiato troppo spesso e senza i necessari accorgimenti, artisti, date e orari degli spettacoli. L’Adiconsum non ha gradito e la scure del giudizio è stata talmente eloquente dall’aver fatto giurisprudenza in tutta Italia. Adesso, però, sono alle prese con un’altra diavoleria di Cognata: la privatizzazione del botteghino, che infatti non funziona più come prima.
In questi giorni Cognata è su tutte le furie. Non solo coro, orchestra e corpo di ballo lo hanno piantato in asso facendo saltare tutto il natalizio “Schiaccianoci”, causando – sostiene il sovrintendente – un danno di 700 mila euro. Adesso ci si mettono anche i ballerini precari che chiedono di essere assunti così come prevede la vituperata legge Bondi che, dicono i maligni, proprio Cognata ha ispirato in più punti. Ma in realtà il danno è per il futuro: per ogni produzione che salta, vengono meno i finanziamenti statali per l’anno successivo, 1-2 milioni di euro. Mica spiccioli.
Ogni anno una grana, forse anche più di una. Sin dall’esordio nel 2005, “il povero Antonio” ha preso cantonate micidiali. A cominciare dal suo insediamento, quando ha proposto come direttore artistico, Lorenzo Mariani, regista formatosi negli States. Cinquantino di belle speranze e solide sponsorizzazioni (Zeffirelli), Mariani non poteva però fare il direttore. E che problema c’è? Si cambia lo statuto e interviene perfino il ministro Giuliano Urbani. Un anno dopo, e siamo nel 2006, il cassiere del Teatro Massimo viene rapinato a pochi passi dal comando dei Carabinieri: trecentosessantamila euro in fumo. Chi paga? Cappiddazzu. Il comandante provinciale dei Carabinieri va su tutte le furie e accusa di dilettantismo i vertici della fondazione.
Poi cominciano gli scioperi a raffica, le occupazioni del Teatro, salta la “Norma” di Bellini. In tutto questo, in assoluta solitudine, Cognata decide di restituire all’Unione Europa la bella somma di 12 milioni di euro. Servivano per rifare palcoscenico del teatro e creare il museo. “Un vero peccato – denuncia dalle pagine di Repubblica il musicologo Piero Violante – i progetti erano già pronti, c’era solo da bandire le gare”. Ma nessuno lo ascolta. E dire che il sindaco del tempo, Diego Cammarata, aveva pressato per fare i lavori quando sovrintendente era Pietro Carriglio. Misteri appaltizi.
Con la scusa del risanamento si decide di regalare ai privati catanesi la bella somma di 200 mila euro per organizzare la stagione estiva. I privati hanno tutto: teatro, maschere, pubblicità, perfino gli incassi sono loro. “Ma il teatro che ci guadagna?”, si chiedono i sindacati , che sono riusciti a far condannare la fondazione per comportamento antisindacale.
Dev’essere la nuova moda berlusconiana, “privatizzare”. Nell’estate del 2007 il Teatro va in tournèe in Giappone. Si tratta di routine per i teatri italiani, peccato che a guastare la bella festa ci sia l’ultima pagina di pubblicità del libretto di sala che recita: “Il padrino, adesso anche in dvd”. Protestano gli italiani residenti in Giappone. “Ma è questa l’immagine che si dà dell’Italia? Perché nessuno è intervenuto a controllare i contenuti del libretto che disonora un Paese intero?”. Dall’Ufficio Marketing nessuna risposta. Anche perché non parla giapponese.
In tutto questo il “povero Antonio” riesce a spillare quattrini a Unicredit, grazie ai buoni uffici di Gianni Puglisi, l’uomo dai mille incarichi.
Il Teatro, comunque, fa sempre notizia. Più per i suoi casini, però, che per la produzione artistica, tanto che, a un certo punto, il vicepresidente della Fondazione, l’avvocato dello Stato Beppe Dell’Aira, manda tutti a farsi benedire. Il termometro dell’andatura a zig-zag è anche il numero dei direttori di coro cambiati, come l’aumento esponenziale del contenzioso. In tutto questo una ventina di lavoratori lucrano sugli assegni familiari e, una volta scoperti, vengono licenziati in tronco. “Peccato, però – commenta qualcuno in teatro – che per lo skipper del sindaco non sia stata usata la stessa severità”.
Nel 2009 comincia la fase del marketing-delirio, caratterizzata da gente che canta all’improvviso nei carrelli dei supermercati, issando demenziali cartelli che invitano ad abbonarsi. La gente, indifferente, riprende a consultare gli ingredienti del doppio brodo Star. Ancora più esilarante è la campagna “Fan for fun”, pazzo per il divertimento. Vengono spese decine di migliaia di euro in pubblicità 3 x 6, sui giornali e in Tv per invitare gli abbonati del Palermo Calcio ad abbonarsi al Teatro Massimo. Ma che gliene frega ai tifosi di Amauri e Miccoli del Massimo? E infatti nessuno si abbona, iscrivendo la campagna marketing nel capitolo degli sprechi più idioti e demenziali del pianeta. Il povero Ferruccio Barbera, che fu il protagonista della riapertura del Teatro, nel lontano ’97, avrebbe rotolato i responsabili della campagna per lo scalone del Teatro.
Il resto non ve lo raccontiamo. Lo potete leggere giorno per giorno sui giornali, come un romanzo d’appendice.

 


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