Il sistema Pogliese per evitare fallimenti alle imprese L’accusa: liquidatori fittizi ed evasione da 220 milioni

C’è anche il padre del sindaco di Catania, Salvo Pogliese, tra le persone arrestate dalla guardia di finanza di Catania su disposizione del tribunale etneo nell’ambito dell’inchiesta denominata Pupi di pezza. Oltre al 74enne Antonino Pogliese, sono finiti ai domiciliari altre otto persone, mentre per due è stata disposta la misura interdittiva per un anno all’esercizio di imprese. Le ipotesi di reato sono di bancarotta fraudolenta e sottrazione del pagamento di imposta. Il giudice per le indagini preliminari ha ordinato anche il sequestro preventivo di quattro marchi registrati e altrettanti complessi aziendali, per un valore complessivo di circa undici milioni di euro. 

Al centro dell’inchiesta, condotta dagli uomini del nucleo economico-finanziario, c’è il sistema che sarebbe stato creato dai professionisti per garantire a diversi gruppi imprenditoriali l’evasione di imposte per un giro complessivo superiore ai 220 milioni di euro. All’origine del lavoro investigativo, c’è stato il monitoraggio delle posizioni di soggetti destinatari di pesanti cartelle esattoriali, che avrebbero scelto la strada della liquidazione tramite prestanomi. L’obiettivo, secondo quanto ipotizzano gli inquirenti, sarebbe stato quello di evitare agli amministratori responsabilità penali e civili. 

Centro nevralgico del sistema sarebbe stato lo studio associato Pogliese. Principale regista proprio Antonio Pogliese, padre del primo cittadino catanese. L’uomo, insieme ai colleghi Michele Catania e Salvatore Pennisi, e con il contributo di Salvatore Virgillito, avrebbe operato illecitamente a partire quantomeno dal 2013. «Un’associazione dedita a una serie indeterminata di condotte delittuose», scrive la procura. Ad avvalorare i sospetti sono state anche numerose intercettazioni telefoniche e ambientali. 

Questa la ricostruzione dello schema ideato per garantire i vantaggi illeciti ai gruppi imprenditoriali. Le società in deficit finanziario si sarebbero rivolte allo studio Pogliese per eludere le eventuali procedure di fallimento e riscossione. A quel punto, gli stessi professionisti sarebbero subentrati come figure qualificate a fare da intermediari alla trasmissione delle dichiarazioni fiscali, per poi mettere in liquidazione le imprese nonostante la situazione patrimoniale delle stesse imponesse il deposito delle scritture contabili in tribunale. Il ruolo di liquidatore sarebbe stato affidato a persone di fiducia, con compensi mensili di qualche centinaio di euro che sarebbero stati pagati dagli effettivi amministratori delle società. 

Ai liquidatori sarebbe spettato il compito – ricostruiscono le fiamme gialle – di favorire «l’effettuazione di indebiti pagamenti preferenziali e la distrazione degli asset patrimoniali più significativi a favore di ulteriori società riconducibili agli stessi amministratori di quella posta in liquidazione». L’ultimo passaggio, infine, avrebbe previsto la chiusura della liquidazione e la cancellazione dal registro delle imprese della società originaria che, nel frattempo, sarebbe stata svuotata di tutto tranne che delle imposte iscritte a ruolo. Il tutto nella consapevolezza che, dopo un anno dalla cancellazione, la legge fallimentare prevede che i magistrati non possano più chiedere il fallimento delle società.

A fare da anello di congiunzione tra i professionisti dello studio Pogliese e gli imprenditori sarebbe stato Salvatore Virgillito. L’uomo, che avrebbe svolto il ruolo di liquidatore fittizio, in più di un’occasione si sarebbe lamentato del mancato pagamento del proprio compenso da parte degli amministratori. «Ora glielo dico a Pogliese, non stanno funzionando più queste cose. Ora mi ci incazzo con Pogliese, qua non pagano, spariscono», dice Virgillito a un altro liquidatore considerato prestanome, senza sapere di essere intercettato.

Stando alla ricostruzione degli investigatori, a beneficiare dei servizi forniti dallo studio Pogliese e da Virgillito sarebbero stati i fratelli Antonino, Giuseppe e Michele Grasso della Diamante Fruit srl di Acireale, che avevano maturato un debito complessivo di 215 milioni di euro nel 2002. I Grasso sarebbero riusciti così a distrarre i marchi aziendali – per un totale di 1,8 milioni – verso un’altra loro società con sede a Milano, per un terzo del prezzo peraltro pagato con crediti inesistenti. Il passo successivo sarebbe stato l’incorporazione della società milanese in una nuova impresa creata ad hoc, nel 2012, per ereditare la posizione di Diamante Fruit.

Un’altra imprenditrice che si sarebbe rivolta a Pogliese è Concetta Galifi, amministratrice della Prima Trasporti srl di Paternò. Stesso discorso per Rosario Patti della Patti diffusione srl, impresa attiva nel settore di abbigliamento e calzature ad Acireale. Per Alfio Sciacca della Grandi vivai società agricola srl e Nunziata Conti della F.lli Conti Paternò srl di Paternò è stata disposta invece l’interdizione dall’esercizio di impresa per un anno.

«Sono dispiaciuto e amareggiato per la vicenda giudiziaria che investe mio padre per la sua attività professionale, nota e apprezzata a Catania e in Sicilia». Sono queste le parole del sindaco, Salvo Pogliese. «Per antica tradizione familiare e culturale – aggiunge l’ex eurodeputato di Forza Italia – ho sempre riposto la massima fiducia nella magistratura a cui è rimessa ogni valutazione sulle accuse mosse. Con altrettanta convinzione sono sicuro che mio padre, di cui ho sempre ammirato l’adamantina condotta di professionista e di genitore, saprà dimostrare la sua totale estraneità ai fatti che gli vengono contestati, riguardanti lo svolgimento di alcuni incarichi di consulenza dello studio professionale che – conclude il primo cittadino – dirige da cinquant’anni senza che alcuna ombra ne abbia offuscato l’operato. Mai». 

Soggetti destinatari delle misure cautelari personali
Arresti domiciliari
– Antonio POGLIESE (cl.1944);
– Michele CATANIA (cl.1966);
– Salvatore PENNISI (cl.1973);
– Salvatore VIRGILLITO (cl.1953);
– Antonino GRASSO (cl.1965);
– Giuseppe Andrea GRASSO (cl.1968);
– Michele GRASSO (cl.1961);
– Concetta GALIFI (cl. 1980);
– Rosario PATTI (cl.1940);

Interdizione dall’esercizio di imprese per un anno
– Alfio SCIACCA (cl. 1952);
– Nunziata CONTI (cl.1954);


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