Il ‘sistema Giacchetto’? Il vero marcio è nella politica

In questi giorni si parla molto del ‘sistema Giacchetto’. Ci si interroga sulle concessionarie pubblicitarie. E anche sui giornali che avrebbero usufruito della pubblicità del Ciapi e dell’assessorato regionale al Turismo. Stranamente, si parla poco della politica marcia. Dopo l’arresto di ex assessori regionali e di ex dirigenti generali dei dipartimenti, dei politici si parla poco e, in certi casi, non si parla più.

Eppure, a decidere, da decenni, che la promozione dell’immagine della Sicilia va fatta in parte – spesso in buona parte – nella nostra stessa Isola è la politica. Abbiamo la sensazione, anzi la presunzione di pensare che a decidere di dirottare un’intera misura del Por Sicilia 2000-2006 – in pratica, gli 87 milioni di euro – sul Ciapi di Palermo sia stata la politica. Ed è stata anche la politica a decidere di utilizzare questi soldi non per l’apprendistato, ma per campagne pubblicitarie.

In questa storia si sta provando a scantonare. Giustissimo, da parte degli inquirenti, sentire i manager delle agenzia pubblicitarie. Senza mai dimenticare, però, che le scelte sono state sempre e solo politiche.

Fausto Giacchetto – questa è la nostra tesi – non è né bravo, né geniale. E’ soltanto l’ingranaggio di un meccanismo inventato dalla politica siciliana per foraggiare se stessa.

Qualcuno ci ha fatto notare che di mezzo, in questa storia, ci sono anche alti burocrati. E che gli alti burocrati – i cosiddetti dirigenti generali – grazie alla legge regionale n. 10 del 2000, contano quanto o più dei politici. E’ una tesi che non ci convince.

Esaminiamo il caso del Ciapi del capoluogo siciliano. Il vero protagonista del dirottamento della Misura del Por Sicilia al Ciapi di Palermo – questo noi lo ricordiamo benissimo – è stato Rino Lo Nigro, allora dirigente generale dell’Agenzia per l’impiego.

Lo Nigro, per chi conosce la storia di Palermo dagli anni ’70 in poi, non è mai stato un burocrate. E’ sempre stato un politico. Con ‘agganci’ molto ‘importanti’. Dove la parola ‘importante’ non deve essere per forza di cose intesa in senso positivo. Anzi.

Cosa vogliamo dire? Semplice: che Lo Nigro, nei primi anni del 2000, diventa dirigente generale della Regione siciliana non perché è un bravo burocrate (anni dopo, peraltro, si scoprirà che non aveva nemmeno i titoli per ricoprire l’incarico di dirigente generale), ma perché è un politico.

Insomma, già dalla sua prima applicazione – che risale ai primi anni della presidenza della Regione di Totò Cuffaro – la legge regionale n. 10 del 2000 mette a capo dei dipartimenti politici e non burocrati.

Il carattere ‘politico’ della dirigenza generale della Regione si accentuerà con i quattro anni della presidenza di Raffaele Lombardo. Tant’è vero che, con Lombardo presidente, assisteremo a un ‘incestuoso’ interscambio di ruoli: assessori regionali che diventano dirigenti generali; e dirigenti generali che diventano assessori (alcuni perché non avevano i titoli per ricoprire l’incarico di dirigente generale).

Oggi il processo degenerativo è stato completato. Nella Regione siciliana, di fatto, non esiste più una differenza tra assessore regionale e dirigente generale. Sono, in entrambi i casi, posti assegnati dalla politica. L’indipendenza dell’alta burocrazia dalla politica, in Sicilia, è scomparsa.

Nella cosiddetta Prima Repubblica, negli uffici regionali, l’indipendenza dell’alta burocrazia dalla politica c’è stata, anche in ragione della presenza di direttori regionali autorevoli. Dal 2001 al 2008 qualche dirigente generale ha resistito.

Dal 2008 in poi, con Lombardo presidente, c’è stato lo ‘sbracamento’.

La pressoché totale trasformazione dei dirigenti generali in politici ha rafforzato non la politica, ma la malapolitica. E ha peggiorato il livello dell’alta burocrazia regionale siciliana, oggi ai minimi storici e quasi del tutto priva di autorevolezza.

La dimostrazione di quello che scriviamo non sta soltanto nella mancata utilizzazione dei fondi europei, ma nella confusione e nel pressapochismo che ormai regna in tutta l’amministrazione regionale, dalla segreteria generale fino all’ultimo dei dipartimenti.

Se oggi un avvocato nominato Commissario dell’Aran, peraltro non senza profili di illegittimità, esprime un parere sulla dirigenza esterna alla Regione, parere che non dovrebbe esprimere, ebbene, questo avviene perché a governare continua ad essere la malapolitica. Se il dipartimento regionale della Funzione pubblica richiede tale parere al soggetto sbagliato, ebbene, le interpretazioni non possono che essere due: lo fa perché subisce l’input politico; o lo fa perché non ha le competenze per capire l’errore che sta commettendo.

Nessuno dei due casi fa onore a chi gestisce tale dipartimento.

In questo scenario, dove la malapolitica controlla e condizione tutto, ci sembra esercizio sterile cercare responsabilità – tornando alla tempesta che in questi giorni ha colpito il mondo politico siciliano – al di fuori della politica.

Giacchetto, che si autodefinisce “bravo”, magari, in questo suo strano lavoro, bravo lo sarà pure: ma non ha fatto nulla di più e nulla di meno che obbedire e servire la malapolitica siciliana.

Sul piano della politica intesa come affari, anche e soprattutto sporchi, esiste una continuità dal 2001 fino ai nostri giorni. La vicenda Ciapi di Palermo segna la continuità tra la Giunta Cuffaro e la Giunta Lombardo. Ma i grandi affari iniziati dalla Giunta Lombardo si proiettano nella Giunta di Rosario Crocetta.

L’acqua, per esempio. Nell’estate del 2012 il Governo Lombardo spediva commissari ad acta in tanti Comuni siciliani. I Sindaci di questi Comuni, forti del referendum popolare che l’anno prima aveva visto la grande vittoria del ritorno alla gestione pubblica dell’acqua, si rifiutavano di consegnare le infrastrutture idriche ai privati. Molti di questi commissari ad acta erano illegittimi.

Questa vicenda è ancora in corso. Il presidente Crocetta, come abbiamo scritto nei giorni scorsi, si era impegnato per il ritorno all’acqua pubblica. Da qualche settimana, però, ha cambiato opinione. Tramite l’assessore Nicolò Marino, ha presentato all’Ars un disegno di legge che rappresenta la perfetta continuità con il sistema di potere Lombardo.

Attenzione: l’acqua non è un argomento secondario. Al contrario, è una questione dirimente. Eppure il Governo Crocetta non ci ha pensato due volte a cambiare opinione. Gli affari, prima di tutto.

Non è solo la questione idrica a segnare la continuità del Governo Crocetta con il passato tutt’altro che nobile della Regione siciliana. C’è la discutibile gestione del Psr, sigla che sta per Piano di sviluppo rurale. Cos’è cambiato, nella gestione del Psr, da Lombardo a Crocetta? Nulla. A cominciare – ecco che il tema della dirigenza ritorna – dal dirigente generale-autorità di gestione, che è lo stesso.

La verità è che la politica siciliana non è cambiata. La politica che ha inventato il ‘sistema Giacchetto’ è la stessa che governa oggi. Non è cambiato nulla.

Nella Prima Repubblica, in Sicilia, la politica era pervasiva, ma lasciava ampi margini alla società siciliana. L’economia dipendeva sempre dalla spesa pubblica, ma aveva una propria autonomia.

Oggi la politica siciliana si è impossessata di una fetta consistente delle risorse economiche che un tempo finivano alla società siciliana. La gestione dei fondi per il turismo, nella Prima Repubblica, era governata sempre dalla politica. Ma non drenava alla società siciliana le risorse che invece drena oggi.

I soldi destinati all’agricoltura – che storicamente è sempre stata la branca dell’amministrazione regionale più ricca – andavano in buona parte al mondo agricolo. Oggi c’è il dubbio che i soldi del Psr siano finiti, in buona parte, nelle tasche dei politici, indirettamente e, in alcuni casi, anche direttamente (e quando parliamo di politici – lo ribadiamo – ci riferiamo anche ai dirigenti generali).

Incredibile quello che è avvenuto nella formazione professionale. Dove, da una decina di anni a questa parte, i politici sono diventati proprietari delle società che gestiscono i corsi di formazione. Percettori diretti, senza ritegno, dei fondi regionali e, soprattutto, dei fondi europei.

Per inciso, il Governo Crocetta non ha mai provato a smantellare questo sistema: ha solo provato a sostituire alcuni soggetti con altri.

Il discorso potrebbe continuare con altri settori della vita pubblica siciliana. Basti pensare alle energia alternative. O alla sanità. Ieri sera, ad esempio, abbiamo dato notizia del tentativo, portato avanti dall’Autorità portuale di Palermo e Termini Imerese, di sostituirsi al Consiglio comunale del capoluogo siciliano su materie che attengono allo stesso Comune di Palermo. Ancora la vecchia politica che prova a incunearsi nel presente.

Insomma, non c’è settore dell’economia siciliana dove non troviamo i politici al posto dei soggetti sociali classici.

Assistiamo a un’impropria sostituzione dei soggetti classici con i politici. Nel nome del profitto, ma anche per proseguire la stessa attività politica, utilizzando le risorse che dovrebbero andare alla società siciliana. Un meccanismo infernale e perverso che impoverisce la stessa politica e, soprattutto, la società siciliana.

E’ questo il meccanismo che va spezzato. Per consentire alla politica di tornare a pensare ai grandi processi di cambiamento e non a rubare risorse e futuro.

Ma non saranno certo Crocetta e il senatore Giuseppe Lumia a cambiare la politica siciliana. Al contrario, la Sicilia, per interrompere la continuità con il passato, si deve liberare di questi due personaggi che oggi incarnano una deriva trasformista che rischia di peggiorare le cose.

 

 


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