Il futuro dell'autostrada è legato a quello del governo gialloverde. Da una parte il piano di Toninelli, osteggiato dai sindaci. Dall'altro un possibile futuro governo a trazione leghista che desta altre preoccupazioni. Ecco le tappe della vicenda. Guarda l'infografica
Il pasticciaccio della Catania-Ragusa e l’incubo peggiore Rimanere senza autostrada e dover risarcire Bonsignore
Che ne sarà della Catania-Ragusa? Del pacchetto di infrastrutture siciliane legate al futuro del governo gialloverde, l’autostrada che attraversa il Sud-Est riveste un ruolo chiave. Tra gli amministratori locali che ieri hanno convocato una conferenza stampa per non spegnere i riflettori sulla vicenda, serpeggia il pessimismo. E si fa strada lo spauracchio dello scenario peggiore: «Rimanere senza autostrada ma con i risarcimenti da pagare a Bonsignore». Cioè alla Sarc srl, la società titolare dal 2014 della concessione. Cornuti e mazziati, come si suol dire. A pagare, in ogni caso, sarebbero i cittadini.
Negli ultimi quattro anni il project financing da 815 milioni di euro – 367 a carico del pubblico (150 milioni li mette Anas e 218 la Regione) e 448 del privato – è andato avanti, passando da una stanza all’altra del ministero delle Infrastrutture, dai tavoli della Regione e da quelli dei sindaci, senza sostanzialmente trovare grandi resistenze. Un iter lento certamente, ma senza essere messo in discussione nel merito. Nemmeno per quanto riguarda il pedaggio che, da progetto iniziale, prevedeva il pagamento di 12 euro per le auto solo per andare da Catania a Ragusa. E altrettanti al ritorno. Una follia che realisticamente avrebbe portato a realizzare un’autostrada su cui nessuno avrebbe viaggiato.
A sollevare il tema del pedaggio – nei primi mesi del 2018 – è l’assessore regionale alle Infrastrutture Marco Falcone. «Francamente una follia – diceva – inaccettabile da noi e improponibile ai siciliani. Come potremmo accettare condizioni del genere, costringendo, per esempio, un professore che si sposta ogni giorno da Francofonte a Catania o viceversa, a spendere almeno 20 euro tra andata e ritorno? Bisogna trovare una formula differente, così non può funzionare». La Regione inizia quindi a studiare una soluzione per calmierare i costi che troverà, d’accordo con la Sarc, qualche mese dopo: la società di Bonsignore si impegna a trasferire il domicilio fiscale dal Piemonte alla Sicilia, e la Regione destinerà le entrate derivanti da questa operazione – stimate in 4 milioni di euro l’anno – per abbattere i costi degli utenti. Soldi che, quindi, finirebbero di nuovo nelle casse della Sarc. Secondo il project financing, infatti, il privato in 35 anni deve rientrare dai costi sostenuti per la realizzazione. E per farlo le entrate del pedaggio devono comunque essere garantite.
C’è di più. Nella conferenza stampa di ieri i sindaci sono tornati sul tema, elaborando un ulteriore step per abbattere i costi degli utenti. Secondo le loro stime, l’impegno della Regione porterebbe il pedaggio da 12,39 euro a 8,13 euro. Ma se anche l’Anas destinasse la sua parte di introito alla riduzione dei costi, allora percorrere i 69 chilometri da Ragusa a Catania costerebbe 5,85 euro. Un prezzo decisamente più ragionevole per un’infrastruttura nuova, anche se comunque più alto rispetto alle tariffe delle altre autostrade siciliane.
Questi calcoli però passano in secondo piano di fronte al radicale cambio di prospettiva del governo nazionale. Dopo mesi di rinvii, ammissioni di criticità e tentennamenti, a luglio il ministro Danilo Toninelli annuncia che «la Catania-Ragusa si farà con fondi interamente pubblici e a pedaggio zero». La svolta arriverebbe da un’intesa con la Sarc per la cessione del progetto definitivo. Ma nulla si sa sul valore della compravendita – la cui stima è affidata alla valutazione di una società terza – e su quali canali di finanziamento copriranno le risorse mancanti, cioè 448 milioni di euro.
In più c’è l’incubo Siracusa-Gela, eterna incompiuta. Se infatti l’opera in mano a Sarc – titolare di una concessione per la progettazione, la realizzazione e la manutenzione dell’opera – non avrebbe necessità di ulteriori gare d’appalto, l’infrastruttura da realizzare con fondi pubblici seguirebbe un iter autorizzativo diverso e sottoposto al decreto legislativo 93/2016. E cioè: tempi più lunghi per appaltare il progetto esecutivo, ottenere le autorizzazioni e assegnare la realizzazione che procederebbe per lotti. Dovendo trovare ogni anno nella finanziaria le risorse necessarie per andare avanti. In questo scenario, secondo le stime degli amministratori locali, se si optasse per un nuovo appalto integrato (progettazione + esecuzione) l’inizio dei lavori scatterebbe tra otto anni e dieci mesi, se invece si scegliesse l’appalto separato i tempi si allungherebbero ancora, con uno start previsto tra undici anni e dieci mesi.
La prossima seduta del Cipe è fissata per il 5 settembre, quando però il governo gialloverde potrebbe non esserci più. Al prossimo ministro delle Infrastrutture (leghista?) rimarrebbe la scelta se proseguire col piano Toninelli o riportare tutto alla casella di partenza. O ancora – ed è questo l’incubo di alcuni sindaci che temono tempi bui per le infrastrutture del Meridione – mettere tutto sotto il tappeto.