Il dramma della migrazione narrato attraverso il teatro «Restituiamo il senso di un viaggio che salva noi stessi»

«È un modo molto umile di provare a restituire il senso e l’intensità di quei viaggi in mare, i nostri e i loro». Quelli attraverso i quali Ong come Mediterranea salvano centinaia di vite che, dopo il deserto e i lager libici, affrontano l’incognita del mare. È questo, con le parole di Luca Casarini, capo missione a bordo della Mare Ionio, il significato alla base di Mediterranea Revolution, il progetto ideato e diretto artisticamente da Giuseppe Marsala, insieme a Moltivolti e Teatro Biondo, che ha provato a creare una sorta di ponte di collegamento fra mare e terra. Portando quella nave e quella missione all’interno del Festival delle Letterature Migranti. È, quindi, un arrivederci senza dubbio speciale quello che saluta e si congeda dalla quinta edizione di quest’anno. Che, stasera, si dividerà in due momenti particolarmente intensi in scena al Teatro Garibaldi.

Il primo, a partire dalle 19, sarà un reading interpretato da Stefania Garello e Giuditta Perriera, insieme ai musicisti Alessandro Librio e Gabrio Bevilacqua: una lettura musicata di due autori contemporanei tra i più sensibili del panorama letterario italiano, Marcello Fois e Giosuè Calaciura, i cui testi descrivono l’uomo posto sul limite di se stesso, tra se stesso e l’altro, alla stessa infinitesimale distanza che separa la vita dalla morte. Mentre dalle 21 toccherà allo studio teatrale Scuola Superiore di Rivoluzione, una mise en éspace scritta e diretta da Claudia Puglisi, che vede destreggiarsi sul palco a fianco di attori professionisti anche lo stesso Luca Casarini, che si è prestato con entusiasmo al progetto in sostegno di Mediterranea Saving Humans. 

«Ho sempre avuto il sogno nascosto del teatro e questa voglia di misurarmi con un mondo che trovo tanto affascinante – rivela subito -. In questo caso si trattava però anche di aiutare un progetto che consiste nel tentativo di restituire con linguaggi diversi l’intensità che noi viviamo facendo quello che facciamo. Riuscire a tradurre la complessità delle emozioni, delle sensazioni, dei significati che incontriamo con questa esperienza attraverso il linguaggio teatrale, ma anche di altre arti». Un testo, quello ideato dalla regista Puglisi, che mette in scena con forza innanzitutto l’amore e la passione che Casarini e gli altri volontari portano con sé a bordo per ogni missione, in barba a critiche, contestazioni, strumentalizzazioni politiche e paradossali ripercussioni giudiziarie. «Non vogliamo restituire un semplice racconto – continua -, ma anche il senso. Il tema è che Mediterranea ha fatto cambiare noi. Non solo ci salva, ma ci cambia, perché ci fa misurare con cose in cui prima sostanzialmente non avevamo modo di entrare dentro e di toccare con mano».

Non solo una lettura scenica, insomma. Ma un tentativo di indagare un fenomeno che ancora oggi in pochi sanno raccontare nella sua enorme drammaticità. La scelta del mezzo, poi, il teatro, non è affatto casuale. «Per me rappresenta una cosa di immensa politicità, in ogni sua forma – dice ancora Casarini -, mi ha sempre affascinato, a partire dalle tragedie greche. Sono i tentativi dell’uomo di trovare il senso delle cose che accadono, e di trovare lì la politica, trovarla dentro se stessi, come la rivoluzione. Sono grato a Giuseppe Marsala, a Claudia Puglisi, a tutti gli attori che mi hanno accolto. Ce la sto mettendo tutta – ammette, tradendo l’emozione per il debutto di domani sera -. Proviamo a dare un contributo a una riflessione più profonda, cioè a rendere possibile il fatto che da quello che accade nella vita, bello o brutto che sia, si possa poi ricavare anche qualcosa di utile alla ricerca di se stessi, di che senso abbiamo a questo mondo, di che sfide abbiamo davanti che non sono certamente piccole né semplici. Sempre con molta umiltà e mettendoci a disposizione in quello che è un percorso di ricerca collettivo».

È d’accordo anche Claudia Puglisi, la regista che ha prestato la sua arte, la sua scrittura, le sue idee, il suo teatro insomma a un tema oggi tanto attuale quanto forse troppo spesso frainteso, ideando il contenitore perfetto per un contenuto intenso, forte, cui nessuno oggi dovrebbe sottrarsi dall’affrontare. «L’idea di questo lavoro nasce da molto lontano, ci ragionavo da un po’ di tempo, non è stato qualcosa di immediato – rivela la regista -. Nasce osservando la situazione culturale e politica italiana, nasce dall’idea che l’arte non sia una cosa separata dall’uomo, ma che sia la rappresentazione dell’essere umano nella sua contemporaneità», dice, riprendendo le fila del discorso sul quale anche Casarini ha ragionato. «E quindi – prosegue – nasce dal bisogno di essere artisti consapevoli e di dare un senso al nostro lavoro. Ecco perché questo progetto è una vera e propria chiamata alle arti, in tutti i sensi».

Mentre osserva, riflette, traduce, ecco l’invito a contribuire a questa edizione del Festival delle Letterature Migranti, insieme a Mediterranea. Da qui l’occasione per cominciare a ragionare al progetto che stasera debutta al Teatro Garibaldi. «Ho incontrato Luca Casarini, ho parlato tanto con lui, mi ha portata sulla Mare Ionio e ho conosciuto l’equipaggio. Ho visto cosa fanno, ho visto coi miei occhi direttamente, ho toccato con mano, era fondamentale. In questo senso l’arte non è affatto una cosa altra, una cosa staccata, ma fa parte della vita, deve farne parte – ribadisce Puglisi -. E questo è uno sguardo dell’arte su questa vicenda. Il titolo, Scuola Superiore di Rivoluzione, l’ho pensato così perché l’intento è proprio quello di ragionare su quale potrebbe essere la rivoluzione della nostra epoca e prepararci a farla». Non sorprende che chi ha avuto modo, nei giorni scorsi, di intrufolarsi in teatro e rubacchiare qualche momento delle prove prima del debutto, lo abbia descritto come «uno spettacolo potente, intenso, in grado di trasmettere con forza il messaggio che racconta. È qualcosa che ti piomba addosso e che se non se va più, a livello emozionale ti conquista totalmente, è impossibile restare sordi, indifferenti».

A fare la differenza è anche la presenza proprio di Casarini che, pur non essendo un attore di professione, ha accettato di portare il suo personale contributo di umanità, insieme a quel bagaglio d’eccezione che sono i suoi viaggi in mare. «Ho potuto scrivere su di lui, che è una cosa molto bella – torna a dire la regista -. Lui mi ha dato così tanto che al di là dell’essere umano ne è nato anche un personaggio. Che è reale, perché lui è reale e sulla scena il suo personaggio si chiama “uomo”, a differenza di tutti gli altri che sono solo “uno”, “due”, e così via. Ed è stato bellissimo lavorare con lui, ma anche difficile perché entrare dentro al meccanismo teatrale non è una cosa facile: devi stare attento al pubblico, devi stare attento a sostenere la voce e a tante altre cose. Ma il lavoro riguardo le emozioni e le intenzioni è stato pazzesco, anche per quello che lui ha dato agli altri attori al suo fianco sul palco. Nel testo c’è soprattutto un’ironia dissacrante nell’approccio alle cose, mi aspetto che stasera il pubblico giochi con noi».


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