MEDIALAB - I MESTIERI DEL CINEMA. Incontro con Jean Chamoun. Giovedì 2 dicembre, ore 18, ex Monastero dei Benedettini, aula A1
Il documentario nel conflitto
Facoltà di Lingue e Letterature straniere
in collaborazione con METACATANIA
MEDIALAB – I MESTIERI DEL CINEMA
IL DOCUMENTARIO IN AREE DI CONFLITTO:
INCONTRO CON JEAN CHAMOUN
Giovedì 2 dicembre, ore 18, ex Monastero dei Benedettini, aula A1
Seguirà l’anteprima del film Terra di donne (Ard Innissaa’) di Jean K. Chamoun (prodotto da Mai Masri)
Introdurrà la giornalista e scrittrice Giovanna Nigi
Jean K. Chamoun, in team con la moglie Mai Masri, ha ottenuto vari riconoscimenti internazionali coi suoi documentari che prendono spunto dalle condizioni di vita in Libano e in Palestina. I film sono stati trasmessi da più di 100 televisioni internazionali, incluse la BBC, Channel 4, PBS, France 2, SBS, YLE, MBC and NHK. Nato in Libano nel 1944, Chamoun ha insegnato cinema presso l’Institut des Beaux-Arts dell’Università del Libano e lavora attualmente per la televisione, la radio e il teatro. Assieme a Maï Masri, ha fondato “MTC” e “Nour Productions”, producendo e realizzando: nel 1992, Rêves suspendus; nel 1994, Otage de l’attente e, nel 2000, L’Ombre de la ville.
“Vivere nel proprio paese, nel mezzo di una guerra interna che logora, ridesta le fiamme dei sentimenti, facendo scintillare sogni ed incubi. La mia esperienza di cinema durante la guerra mi ha aiutato a svelare i misteri dell’individuo, per se stesso e gli altri. Questo cinema è un mezzo che contribuisce a superare gli ostacoli per rivivere la memoria collettiva attraverso l’esperienza personale.
I nuovi canoni sociali e i gusti estetici imposti dal potere dell’immagine nella società moderna, hanno creato un rivolgimento e imposto le regole e la potenza dell’immagine sull’immaginazione. Questa nuova situazione ci permette di vedere come colui che ne è il centro, l’uomo “moderno”, si stia avvicinando ad una nuova cultura, e come egli si definisca in rapporto alle conoscenze tradizionali e alle altre culture e civiltà.
Ma il mio concetto di cinema, che parte dall’umano “locale” verso lo spazio universale, è stato ostacolato dallo sviluppo della guerra.
I sentimenti mi hanno spinto sempre verso i personaggi che si aggirano nei miei sogni, che rinascono ancora e sempre. Li vedevo davanti a me, agitati, innamorati, delusi, malcontenti, ribelli, sperimentando la sconfitta, soccombendo per permettere ad altri di avere una nuova vita.
Quei personaggi, che non mancano di umorismo, vivono in me, mi torturano, rattristano e mi fanno ridere. Vedo i loro visi nelle antiche strade, nei quartieri agitati, nei caffè popolari di Beirut e nei villaggi sperduti del Libano del sud, nei campi palestinesi.
Uno di quei personaggi, sempre presente nella mia memoria, è un ragazzino di 12 anni, cresciuto in una famiglia che non aveva di che vivere. Ogni volta che tenta di riscattarsi viene respinto e soffre un terribile sentimento di solitudine. Nonostante tutto, riesce a sopravvivere grazie ad una combinazione di innocenza e saggezza nella concitazione della guerra.
Questi modelli rappresentano, con la loro spontaneità e sincerità, i simboli di un avvenire diverso, attraverso un cinema utile, di un altro gusto estetico e di una nuova visione della storia. Ma, oltre all’esperienza personale, le mie aspirazioni sono quelle di stabilire paralleli con altre guerre civili che persistono o che verranno dichiarate in futuro, da qualche altra parte. (…) I miei film e quelli di Mai Masri, sono egualmente un omaggio all’intelligenza della cultura popolare, nei paesi mutilati dalle guerre. Quei paesi dove le donne e gli uomini hanno resistito con coraggio e determinazione.”