Nel processo d'appello parla l’ex reggente di Lineri diventato collaboratore di giustizia a gennaio. La sua testimonianza viene interrotta decine di volte quando al centro delle dichiarazioni finisce il figlio di Nitto, Enzo u nicu, considerato il capo di Cosa Nostra etnea. «Era riservato e non parlava con chiunque», racconta
Iblis, tensione per le rivelazioni di Scollo «Santapaola Jr? Lo vedevo al Banacher»
«Il figlio di Nitto, Enzo Santapaola? Non ho mai parlato con lui, sapevo chi era per averlo visto al Banacher o agli acquascivoli della Playa gestiti dai suoi parenti D’Emanuele». A pronunciare queste parole è Giuseppe Scollo, dal 19 gennaio collaboratore di giustizia. È lui l’ultimo di una sfilza di pentiti che si stanno alternando nel processo d’appello nato dall’operazione Iblis. Al centro dell’inchiesta c’è l’intreccio tra Cosa Nostra, politica e imprenditoria. Un triangolo d’interessi e affari che ha già portato a numerose condanne, tra cui quella in primo grado all’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo per concorso esterno in associazione mafiosa.
Santapaola Jr in primo grado è stato condannato a 18 anni. Secondo i magistrati della Procura etnea è stato per anni il successore del padre al vertice della mafia catanese. Un ruolo che non ha mai convinto i suoi legali, gli avvocati Francesco e Giuseppe Strano Tagliareni. Così anche la deposizione di Scollo diventa un nuovo motivo di scontro in aula, con l’accusa retta dai magistrati Antonino Fanara e Gaetano Siscaro. «Le domande al collaboratore devono essere circoscritte al periodo del capo d’imputazione e cioè fino al 2010», sbotta Tagliareni, alternando continue opposizioni alle domande dell’accusa. Gli animi in aula non accennano a placarsi, anzi si surriscaldano ulteriormente quando a intervenire a più riprese è il presidente del collegio giudicante Salvatore Costa. Un nervosismo che spiazza anche Scollo – collegato in video conferenza da un sito riservato – bloccato decine di volte al primo accenno di risposta. «Non ho capito – si chiede il pentito dopo l’ennesimo stop – se a farmi la domanda è stato l’avvocato o il procuratore». Un interrogativo che lascia scappare con un filo di voce uno stizzito commento all’avvocato Tagliareni: «Perché in base a chi fa la domanda cambia la risposta?».
«Lui – racconta Scollo riferendosi a Santapaola Jr – certo che faceva parte della famiglia, fino al 2011, quando poi è stato arrestato. Come altri – prosegue – era riservato e non parlava con chiunque, ma c’erano persone che gli portavano le ambasciate». Una descrizione che sembra ricalcare quella fatta più volte in aula nel processo di primo grado, poi ritenuta credibile dai giudici. Vincenzo Santapaola, ribattezzato u fantasma dal collaboratore Santo La Causa, sarebbe dal 2005 il successore dello storico capomafia Nitto. Una posizione apicale ricostruita proprio grazie alle rivelazioni dei collaboratori di giustizia. Nelle oltre 80mila pagine dell’inchiesta non c’è infatti traccia d’intercettazioni telefoniche o ambientali che lo riguardino in maniera diretta.
Nelle sue rivelazioni, Scollo – ex reggente per gli Ercolano nel quartiere periferico di Lineri – ripercorre il clima di grande tensione che fino a qualche anno fa si è respirato dentro Cosa Nostra catanese. «C’erano discussioni con i Mirabile e i fratelli Nizza». Al centro della diatriba ci sarebbe stata la volontà dell’ala capeggiata dal defunto boss Pippo Ercolano di «occuparsi degli imprenditori nascosti, ma gli era stato detto di lasciare perdere». Aria pesante in cui sono maturati non solo gli omicidi eccellenti del reggente Angelo Santapaola e del guardia spalle Nicola Sedici ma anche quello di Antonio Rizzotto, freddato con cinque colpi di pistola nel dicembre 2011.