I prof: «Pronti a tutto per la nostra Facoltà»

«Zero progetti, zero motivazioni», con queste parole l’ex preside della Facoltà di Lingue Antonio Pioletti sembra riassumere il coro unanime che si è sollevato stamattina durante l’assemblea studentesca indetta per discutere della proposta di chiusura di Lingue a Catania.

Un auditorium stracolmo, moltissimi gli interventi, una conclusione: la Facoltà di Lingue non si tocca, il diritto allo studio nemmeno. Tanti i docenti presenti e solidali con gli studenti. Tra questi Felice Rappazzo, italianista: «L’assemblea mi è sembrata eccellente per quantità e anche per calore della partecipazione. Bisogna non lasciare disperdere questa energia e cercare di organizzarla e renderla duratura, perché quando si è in tanti spesso si crede che una battaglia sia vinta solo perché si è rumorosi, invece bisogna continuarla giorno dopo giorno e con molta ostinazione». Viene da chiedersi se la presenza di tanti prof sia motivata anche dalle conseguenze negative che subirebbero in prima persona: «Per noi docenti le conseguenze sono un po’ avvilenti ma alla fine non ci sono grandissimi rischi – risponde Rappazzo – Il problema è maggiore per gli studenti e consiste nel fatto che ci si scorporerebbe per un’altra istituzione, questo ipotetico quarto polo, un’istituzione assolutamente inesistente per adesso. Si tratterebbe di una vera e propria rottamazione, una distruzione». Il prof Rappazzo spiega con un esempio storico le sue perplessità sulla “cessione” di Lingue e Architettura da parte dell’Ateneo di Catania: «Non c’è mai stato rettore o governante che non abbia cercato di acquisire territori; il nostro rettore, non so perché, ha deciso invece di dismettere territori, un po’ come Nizza e Savoia ai tempi della seconda guerra per l’indipendenza, in cui si cedettero alla Francia in cambio di un’alleanza. Ora, vorrei capire cosa c’è dietro questa cessione di Nizza e Savoia, cioè architettura e lingue, al costituendo quarto polo. Quale alleanza o scambio politico c’è dietro? Ecco perché sono molto preoccupato, perché, secondo me, non esiste alternativa alla difesa della Facoltà di Lingue così com’è». Torna ancora più indietro nel tempo per illustrare il trattamento riservato agli studenti: «Presi e trattati esattamente come la servitù della gleba nel medioevo. Quando si acquisiva un feudo si acquisivano anche i lavoratori della terra. Questi erano legati alla terra, alla gleba e ad essa appartenevano, non erano individui liberi. Dunque il tentativo di deportare istituzionalmente da un ente a un altro questi studenti è la cosa più vergognosa che si possa immaginare».

Colpito e soddisfatto della presenza di tanti studenti il prof Sebastiano Grasso, docente di linguistica generale: «È stata una bellissima prova di democrazia questa. Direi entusiasmante, non se ne vedevano da anni così». Seppur privo di exempla storici, concorde con quello del prof Rappazzo il suo giudizio sulle motivazioni dell’ipotetico trasferimento: «Le ragioni non sono per nulla serie, sono motivazioni di bassa politica, che, quindi, non è politica; direi piuttosto di politica berlusconiana, esattamente pertinente al quadro nazionale dell’attuale governo».

Entusiasta per la massiccia partecipazione dei ragazzi, anche il prof Domenico Antonio Cusato, che insegna lingua e letterature ispano-americane in entrambe le sedi: «Quello che c’è stato stamattina è stato veramente emozionante. Infatti sembra che oggi la politica abbia ormai lasciato i giovani o che i giovani abbiano lasciato la politica. Invece stamattina mi è sembrato di vedere una grande partecipazione e una grande presa di coscienza. Il problema è sapere se la resistenza continuerà, perché abbiamo visto che spesso i movimenti si risolvono in bolle di sapone». Cusato ripercorre con orgoglio gli anni della costituzione della Facoltà ora a rischio chiusura: «Una facoltà che in 10 anni è arrivata ad avere 7.000 studenti, in cui confluiscono studenti anche dalle università di Messina e Palermo perché evidentemente l’offerta formativa è valida. Una facoltà che ha già acquisito una tradizione, per aprirla a Ragusa dove si dovrà iniziare tutto da zero. Noi abbiamo impiegato 10 anni per mettere su questo organico limitato di professori, nonostante da noi confluissero i vecchi professori di Scienze della Formazione e di Lettere. E Ragusa partendo da zero quanto impiegherà per formare una facoltà credibile? Questo nuovo polo da dove prenderà i soldi per andare avanti?»  A lui, ispanista, chiediamo se si sa già qualcosa sul futuro dei lettori di madrelingua:  non c’è niente di certo. «La possibilità di opzione che si aprirà ai professori, cioè tra scegliere di rimanere a Catania o spostarsi a Ragusa, dovrebbe essere estesa ai lettori, almeno a quelli a tempo indeterminato; per i nuovi non si sa. È probabile che molte persone valide rimangano senza lavoro. Un’altra cosa che non è stata evidenziata è che il 70 % dello sforamento di Lingue è dovuto proprio alla presenza dei lettori che le altre facoltà non hanno. Ma nonostante i lettori, noi non abbiamo avuto quei finanziamenti che il consorzio aveva previsto. Con i nostri fondi abbiamo dovuto pagare i lettori e i docenti a contratto di Ragusa. E nonostante tutto stiamo rientrando nel budget con grande sforzo, con gran sacrificio… Per fare un esempio, fino all’anno scorso tenevo nove corsi, quest’anno ne tengo sei. Questo perché siamo tutti compatti, perché capiamo che ci sono delle esigenze, che non abbiamo i soldi perché il consorzio non ha pagato, ci stiamo sacrificando per mantenere i conti apposto, e i conti sono apposto». Ma se i conti stanno tornando in ordine perché disfarsi di Lingue come di un pesante fardello? «È questo quello che non si capisce, a questo punto ritengo si tratti di un problema esclusivamente partitico, neanche politico. Noi della facoltà di lingue abbiamo sempre apertamente manifestato le nostre opinioni, abbiamo fatto lotte, discusso, siamo sempre usciti con una linea coerente che non teneva conto degli interessi e questo forse dà fastidio dove il potere invece si basa su una piramide dove chi sta al vertice vuole soggiogare gli altri».

Dichiarazioni diverse, ma i cui contenuti concordano perfettamente, come le voci di un coro.


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