Foto di EtnaSci

I due morti sull’Etna e i punti da chiarire. «Una montagna severa. Delle volte bisogna tornare indietro»

Sono ancora tanti i punti da chiarire su quanto avvenuto domenica sull’Etna. Due tragici incidenti, uno sul versante Nord e l’altro a Sud, che hanno causato la morte di Danilo Marletta, 17 anni, e Nicola Ruiz de Cardenas, 60 anni. Due incidenti i cui particolari emergono poco a poco e con difficoltà, nella sottile linea – non sempre netta – tra fatalità, imperizia e scarsa conoscenza. Riproponendo il tema della sicurezza in montagna, dalle attrezzature alla conoscenza del terreno e del meteo. Marletta, originario di Catania, è caduto mentre percorreva il sentiero di Schiena dell’asino, uno dei percorsi più noti del versante meridionale perché permette di raggiungere la valle del Bove. La vittima era in compagnia di due amici quando sarebbe scivolato, precipitando per diverse decine di metri. L’altra persona deceduta è Nicola Ruiz de Cardenas, originario di Pavia, imprenditore e presidente di Assolombardia Pavia. Il 60enne era in Sicilia in vacanza ed è stato recuperato sul versante nord dell’Etna – secondo quanto ricostruito da MeridioNews – mentre si trovava fuori pista, lungo il canalone Y, tra il rifugio Citelli e l’osservatorio di Pizzi Deneri. Ruiz de Cardenas non era da solo e, a quanto pare, ad accompagnarlo c’era anche una guida.

Chi frequenta l’Etna ogni giorno per lavoro continua a ripetere come la fatalità possa coinvolgere anche i più esperti. Ma, nello stesso tempo, c’è un giudizio unanime nel definire i canaloni come particolarmente pericolosi da affrontare in questo periodo. «Il canalone Y è una zona impervia, percorsa ma fuori dalle piste e, in queste condizioni, impone delle riflessioni sulla sicurezza», spiega a MeridioNews Vincenzo Greco, presidente delle Guide vulcanologiche Etna Nord. «Si tratta di un pendio impegnativo e interessato dalla presenza di una calotta di ghiaccio e quindi con una superficie non nevosa e con diverse slavine che si sono staccate. Una guida esperta, con queste condizioni, lì non sarebbe andata», sottolinea. «Le osservazioni su cosa è successo verranno fatte dalle autorità ma certamente possiamo dire che la montagna è severa e l’Etna deve essere affrontata nella sue duplice veste di vulcano attivo e non solo», commenta a MeridioNews Francesco Franz Zipper.

Medico e, per anni, responsabile del soccorso alpino e speleologico in Sicilia, Zipper è riconosciuto come uno dei maggiori conoscitori dell’Etna. «La mediaticità induce a dire “Io l’ho fatto e tu no” ma, in alcuni casi, bisogna capire che non ci sono le circostanze per proseguire». Pizzi Deneri sovrasta la distesa di piano delle Concazze, in buona parte costituita da sabbia e lapilli. Sulla sua cima si trovano sei punte (pizzi, ndr) e, verso valle, si allungano dei grandi canaloni tra cui quello conosciuto come canalone Y. «Ci sono dei punti con pendenze di 28 o 30 gradi ma, oltre a questo, bisogna considerare la trasformazione della neve che può rendere il manto instabile e pericoloso con cicli di fusione diurna e rigelo notturno – aggiunge Zipper – Con le piogge di questi giorni, il terreno si è trasformato in una lastra di ghiaccio molto scivoloso e anche una persona esperta può avere serie difficoltà».

Senza, insomma, farsi ingannare da belle giornate soleggiate. Il consiglio è quello di aspettare che «la neve maturi, con la trasformazione in un manto granuloso adatto allo sci alpinismo». Senza dimenticare l’aspetto del corretto utilizzo dell’attrezzatura. Perché indossarla non basta. I ramponi sono fondamentali qualora ci siano le condizioni per effettuare risalite e discese, «ma bisogna saperli usare – aggiunge Zipper – Nelle discese, per esempio, tutta la suola deve adattarsi al terreno e per questo ci sono delle tecniche particolari. Nei cambi di pendenza, inoltre, bisogna spostarsi facendo sì che uno dei due piedi poggi tu tutte e 12 le punte. Altrimenti ci si può ribaltare e, se succede in un canalone ghiacciato con quelle pendenze, si rischia tanto. Bisogna insomma fare le giuste valutazioni e, quando è il caso, tornare indietro».

Puntando a una maggiore conoscenza nell’approccio alla natura. E a un vulcano che rimane comunque una montagna. Neanche tra le più pericolose, peraltro, complice il numero di visitatori e sportivi invernali non paragonabile ad altre catene montuose. Secondo i dati del Soccorso Alpino e Speleologico nazionale, nel 2023 sono stati oltre 12mila gli interventi effettuati: solo l’1,5 per cento in Sicilia. Con 491 vittime in tutta Italia. Le cronache dell’Etna ne ricordano undici da inizio ‘900 e fino a domenica scorsa, per quanto riguarda gli incidenti legati a escursioni e attività sportive. Tra questi, più d’uno proprio nella zona della valle del bove e nei canaloni. Come nel caso di Luca Taffara e Stefano Nicotra, morti a dicembre 1999 e trovati dai soccorritori alla fine del canalone della Rena, ripido tracciato che parte dalla Montagnola, a 2500 metri, e arriva nella valle del Bove.


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