Harakiri dei rosanero sul campo del Pescara Al Palermo manca ancora mentalità vincente

L’harakiri non ha confini. Il suicidio ricorrente in Giappone secondo un antico rituale samurai ieri sera è stato praticato anche a Pescara secondo un rituale a tinte rosanero. È difficile trovare delle immagini simboliche diverse da quelle del suicidio per commentare, sul fronte Palermo, la rocambolesca sconfitta per 3-2 maturata allo stadio Adriatico nel secondo posticipo della trentunesima giornata. I rosanero, avanti 2-1 al termine del primo tempo, sono riusciti nell’impresa di farsi rimontare e di tornare a casa senza punti. Un’assurdità se si pensa al modo in cui era finita la prima frazione di gioco e alla netta superiorità manifestata dalla squadra nella prima porzione della gara nei confronti di un avversario allo sbando e in grande difficoltà nella lettura di tutte le situazioni difensive. Eppure è successo.

Nel calcio non bisogna mai dare nulla per scontato, soprattutto quando di mezzo c’è il Palermo, un vero e proprio manifesto dell’inaffidabilità. Uno spot alla imprevedibilità sia nel bene che nel male come è accaduto più volte nelle ultime settimane e come si è verificato pure ieri sera. Il problema è che il male ha prevalso sul bene e che le sensazioni positive alimentate dall’ottima prestazione fornita nei primi 45 minuti, chiusi in vantaggio grazie al quarto acuto stagionale di Moreo (conclusione di destro dal limite al 14’) e alla rete di Pirrello (il difensore di Alcamo, a segno con un colpo di testa sugli sviluppi di un calcio d’angolo, al 38’ ha realizzato il suo primo gol con la maglia della prima squadra rosanero) dopo il momentaneo 1-0 degli abruzzesi firmato Del Grosso dopo sei minuti di gioco, sono state oscurate nella ripresa da altre dinamiche e dallo sviluppo di una trama beffarda. Che certifica la tendenza all’autolesionismo di un Palermo a cui manca ancora qualcosa – e purtroppo bisogna premere sempre lo stesso tasto – per il definitivo salto di qualità. Stellone ha dovuto fare i conti con diverse defezioni tra infortuni e squalifiche (out Nestorovski, Bellusci e Rajkovic) ma l’assenza più pesante, cronica, è stata quella relativa alla mentalità vincente. Che il Palermo ancora non ha.

Una squadra matura e con un certo tipo di predisposizione mentale chiude le partite quando ne ha la possibilità, sfrutta i momenti favorevoli e non dà l’opportunità ad un avversario in stato confusionale di rientrare nel match. Dopo la prova opaca di Cosenza, i rosa ieri sera avevano dato segnali incoraggianti dal punto di vista del gioco e anche sul piano della personalità riuscendo a ristabilire la parità e a prendersi gradualmente il totale controllo della partita al cospetto di un Pescara impaurito e tenuto a galla solo da una serie di buonissimi interventi del portiere Fiorillo. Ecco perché l’epilogo dell’incontro, al di là dell’incredulità dipinta sul volto dei giocatori ospiti al triplice fischio dell’arbitro, fa ancora più rabbia. Perché è inconcepibile perdere una partita come quella di ieri. Contro un Pescara particolarmente vulnerabile al netto delle potenzialità di un collettivo comunque in corsa per i playoff e intenzionato, dopo la sconfitta subita a Lecce, ad invertire il trend negativo di risultati.

Già un pareggio, in casa rosanero, avrebbe lasciato l’amaro in bocca. Figuriamoci una sconfitta. Che vanifica l’obiettivo dell’undici di Stellone di rispondere al successo del Lecce (che ha battuto in casa il Cosenza nel primo posticipo), di sfruttare il pari del Brescia a Verona e allungare in classifica sulle dirette inseguitrici. Missione fallita. Il Palermo, brillante e autoritario dopo il 2-1, al momento opportuno non ha dato il colpo di grazia alla compagine di Pillon (il solito Trajkovski e i suoi compagni di reparto non sanno cosa sia il killer-instinct) ed è stato punito. Non ha voluto scartare i regali concessi dagli svagati difensori biancoazzurri (clamorosa, sul risultato di 2-2, la chance sprecata da Moreo con un tiro di sinistro ad incrociare in seguito ad uno svarione di Gravillon) ed è rimasto con un pugno di mosche in mano. Spiazzato dalle reti di Memushaj (destro da fuori area al 69’) e Scognamiglio a tre minuti dal 90’ con un colpo di testa vincente sugli sviluppi di un corner propiziato da un super intervento di Pomini su una girata di Gravillon. Morale della favola: fino a quando i rosa indosseranno i panni di Penelope, nota per la puntualità con cui riusciva a disfare la tela costruita in precedenza, non potranno fare tanta strada. Per vincere le partite e legittimare le proprie ambizioni in chiave serie A bisogna essere concreti e cinici. Senza pietà – sportivamente parlando ovviamente – nei confronti della squadra avversaria alla quale, se c’è l’opportunità, va sferrato il colpo del definitivo ko. Le partite, altrimenti – e il clamoroso successo di ieri del Pescara (che non vinceva da un mese) ne è una conferma – possono prendere una piega inaspettata. E mandare in frantumi i progetti pianificati in un primo momento. 


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