Guernica 1937, le bombe, la barbarie, la menzogna

Sarebbe stato meglio un fucile in più anziché un’opera d’arte? La domanda può apparire strana, tuttavia ha un senso abbastanza chiaro. Parliamo del nuovo libro di Angelo D’Orsi chiamato Guernica 1937, le bombe, la barbarie, la menzogna, un testo che riporta in vita questioni, non solo storiche, che possono aprire dibattiti interessanti ed utili a capire l’assurdità della guerra. Se ne è parlato mercoledì 9 aprile, in una conferenza organizzata dall’Istituto italiano per gli studi filosofici, Associazione etnea studi storico-filosofici, Società filosofica italiana e Dottorato di Scienze umane dell’Università di Catania in collaborazione con il bimestrale ScuolaInsieme.

La frase citata all’inizio richiama l’attenzione del lettore sull’importanza dell’intellettuale, colui il quale «ha gli strumenti e la responsabilità di far riflettere sui fatti più importanti che caratterizzano il mondo di ieri e di oggi», secondo il giudizio dello stesso autore.

 

La frase potrebbe benissimo essere indirizzata ad un qualunque intellettuale, tuttavia sembra rivolgersi a qualcuno che in particolare lasciò un segno indelebile nel mondo dell’arte, realizzando un quadro che fu dedicato proprio alle tragiche vicende di Guernica dopo il bombardamento del 1937 da parte della legione “Condor” tedesca, autorizzata a compiere il massacro dal generale Francisco Franco. Parliamo del grande pittore Pablo Picasso, repubblicano dichiarato già prima dell’inizio della Guerra Civile spagnola, da sempre attento alle questioni del suo Paese pur avendo vissuto quel periodo a Parigi, lontano – anche se non troppo – dal caos che aveva generato quel terribile conflitto. Da questo punto parte il pensiero dell’intellettuale il quale si pone la domanda: sarebbe stato più utile un fucile in più piuttosto che un’opera d’arte che ricordi per sempre la tragedia? Una domanda la cui risposta sembra molto difficile, ma che lo scrittore è intenzionato ad affrontare, ripercorrendo a ritroso le vicende della guerra per cercare di capire quali furono le posizioni di tutti gli intellettuali dell’epoca oltre a quelli più contemporanei. Ecco come allora non è difficile capire i propositi dell’autore, il quale scrive un libro che oltre a ricordare la tragedia di Guernica offre uno spunto di riflessione per capire quali furono gli atteggiamenti di tutti gli studiosi che affrontarono questa tematica.

 

All’incontro con l’autore sono intervenuti Giuseppe Giarrizzo, Accademico dei Lincei, Nunzio Famoso, preside della facoltà di Lingue e letterature straniere, Francesco Coniglione, ordinario di Storia della filosofia (facoltà di scienze della Formazione) e Salvatore Distefano, dell’Associazione etnea studi storico−filosofici.

Quest’ultimo ha aperto il dibattito: «ho apprezzato l’intento dell’autore che ha narrato di una guerra che ne ha precedute delle altre ancora più terribili. Nel testo si riscontrano delle tematiche principali che vorrei sottolineare. In particolare – spiega – la contrapposizione tra il fascismo e l’antifascismo, lo studio su ciò che può causare una guerra, un concetto che va al di là della follia e delle scelleratezze degli uomini. Un esercizio che si indirizza più sulla sua natura ed alla sua genesi. Inoltre ho apprezzato molto il rapporto tra la guerra e la menzogna, un binomio interessante che probabilmente inizia proprio negli anni della Guerra Civile spagnola e precisamente con il bombardamento della cittadina basca di Guernica, un atto di prepotenza che segnò per sempre un altro periodo, “la guerra del terrore”. Così il testo mi ha dato lo spunto per poter riflettere su quella che tutti definiscono “la finta pace”, che in realtà nasconde un conflitto che sembra non aver fine».

 

Il secondo intervento è quello del prof. Coniglione, che afferma: «il libro è piacevole e ricostruisce la storia con alcune importanti riflessioni sulla realtà contemporanea. Una fra tutte la funzione del “terrore”. I tragici avvenimenti di Guernica segnarono infatti l’inizio degli atti bellici che avevano come fine quello di terrorizzare la popolazione, una strategia utilizzata anche come strumento per declassare un’intera società, anche dopo la guerra».

 

Secondo il prof. Famoso «il testo racconta di un passato che riporta al presente. Quella spagnola è stata sicuramente la più risonante e la più ricordata fra tutte le altre guerre civili. Gli anni che vanno dal 1931 al 1936 sono quelli che spiegano meglio i motivi di questo conflitto. A mio parere la traccia che ci dà il testo di D’Orsi riporta alla concezione dell’evento non solo come atto terroristico “quasi autorizzato”, bensì ad un tipo di guerra mediatica, basata sulla menzogna, così come lo sono state quelle che si sono combattute in Iraq ed in Afghanistan».

 

Per il prof. Giarrizzo «D’Orsi ha scritto con passione un libro di passioni, che lascia che il lettore possa interpretare ciò che accadde realmente. Non si tratta di un testo su Guernica, in sé come fatto storico, piuttosto di un libro che riguarda un intellettuale che si pone il problema della missione degli intellettuali. Quelli di allora, scrittori ed artisti, si limitarono a mandare dei piccoli segnali anche se in realtà non agirono concretamente. Da quello che ho potuto intendere l’autore, alla fine del suo libro, riesce ad arrivare ad una conclusione: siamo tutti dei vincitori morali, ma in realtà siamo anche dei vinti, perché la guerra non è ancora finita».

 

La fine dell’incontro è dedicata alle riflessioni dell’autore: «questo per me è un libro un po’ anomalo, nel senso che è stato scritto in poco tempo, solo quattro settimane. Il risultato può essere soddisfacente quando la gente mi dice che, nonostante sia un testo impegnato che richiama ad avvenimenti storici, si può leggere con grande facilità. Mi sono chiesto spesso sul motivo di questa urgenza quando ho scritto questo testo – racconta D’Orsi – ed alla fine sono riuscito a rispondermi da solo: avevo fretta di mettere in guardia il lettore su alcune questioni, problemi vecchi che riemergono a galla, anche a distanza di molti anni, primo fra tutti quello della “menzogna”. Si parte da Guernica ed in realtà, parlando di questo argomento, si può fare il giro del mondo. Sulle responsabilità degli intellettuali dico che essi hanno il compito di fare capire i fatti. Quando Pablo Picasso dipinse il quadro dedicato a Guernica disse testuali parole: “Guernica è il mio personale atto di guerra, un grido contro l’indifferenza”. Anche se lui la guerra non la fece, sicuramente lasciò un segno indelebile nel campo dell’arte, ma soprattutto della storia contemporanea».


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