Portare a teatro i testi di Goliarda Sapienza, scrittrice catanese oggi di culto in Italia e all'estero, per raccontare, attraverso le sue parole, stralci della sua esistenza tormentata, alternando elementi autobiografici ad episodi del romanzo-capolavoro L'arte della gioia. E' il progetto - work in progress - di Cristiana Raggi, attrice e regista faentina che le ha dedicato uno spettacolo sperimentale ed autoprodotto. CTzen l'ha intervistata
Goliarda, in scena le opere dell’autrice etnea Spettacolo cineteatrale tra vita e romanzo
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Uno spettacolo cineteatrale autoprodotto per far rivivere sulle scene i testi di Goliarda Sapienza, autrice catanese ormai diventata di culto in Italia e all’estero, ma che durante la sua esistenza – intensa e tormentata – ha subito l’indifferenza delle case editrici. A dare vita a questo progetto Cristiana Raggi, attrice di cinema e teatro nata a Faenza 38 anni fa. E che nell’estate 2011 si è invaghita delle opere di quella che è stata definita la «Virginia Woolf italiana» e ha deciso di mettere su uno spettacolo dedicato a lei. Un adattamento, da lei scritto e diretto, in cui gli elementi autobiografici contenuti nei volumi della scrittrice etnea si intrecciano ai personaggi forti e indimenticabili dei suoi romanzi, con una miscela sperimentale di linguaggi teatrali e cinematografici. Per rappresentare, in maniera nuova e diversa, «il frutto dello straordinario percorso umano e artistico di una donna che si confronta con se stessa, raccontandolo attraverso le sue parole», spiega la regista in un’intervista a CTzen.
Cristiana, com’è nata l’idea di uno spettacolo su Goliarda Sapienza?
«Nell’agosto del 2011 lessi alcuni testi molto coinvolgenti di Goliarda Sapienza che si materializzarono immediatamente nella mia mente in una messa in scena teatrale. Volevo rappresentare, attraverso le sue stesse parole, qualcosa che, sì, era scritto nei testi, ma che si apriva ad un’interpretazione dei fatti da lei vissuti e condivisi. Per raccontare qualcosa di diverso».
Su quali testi si basa il lavoro?
«Scelsi L’arte della gioia e Il filo di mezzogiorno. Il primo è il suo capolavoro, scritto in dieci anni, con una gestazione di distribuzione di venti, che purtroppo ha trovato il suo riconoscimento solo dopo la morte dell’autrice. Il secondo, invece, è uno dei cinque libri autobiografici che descrivono un momento della sua vita. In questo caso parliamo degli anni che vanno dal 1962 al 1965 e delle sedute di psicoterapia che seguì per recuperare la memoria degli ultimi venti anni di vita. Ricordi che le erano stati sottratti da una terapia elettroconvulsivante contro la depressione. Ma il pensiero di riuscire a dare il giusto rilievo a questa scrittura nel breve tempo accessibile dalla scatola teatrale mi ha portato subito a scegliere di non mettere in scena tutti e due i libri nella loro interezza».
Cosa dei due testi si intreccia nella messa in scena e quali temi vengono proposti allo spettatore?
«Le prime cinque pagine del suo romanzo si alternano narrativamente a momenti dedicati al dialogo con questo psicologo. La terapia sconvolse e segnò Goliarda, la portò sulla strada che l’avrebbe condotta a L’arte della gioia, la cui forza è insita nella psicologia accurata dei suoi personaggi, in primis la protagonista Modesta. L’alternanza è proprio questa: da un lato vediamo la fatica di Goliarda nel passare attraverso la terapia, dall’altro vediamo il frutto di questo suo percorso umano e artistico con le parole del suo romanzo-capolavoro. Il dramma è proprio quello di rappresentare una donna che si confronta con se stessa».
Il suo è il ruolo di Goliarda. Chi sono gli altri personaggi in scena?
«In realtà in scena si vedono solo due attori: il medico e Goliarda, gli altri personaggi comunicano esclusivamente con la voce. Abbiamo scelto voci di attori professionisti, come Veronica Giunchi nel ruolo ricco e difficile di Modesta, o come lo psicologo Piergiuseppe Francione, che è riuscito a comprendere la dinamica relazionale del medico con Goliarda. Ma anche voci nuove, come il non-attore Salvo Grasso, di mestiere insegnante, che interpreta Tuzzu».
Lei è protagonista, ma anche regista e autrice. In quanto tempo la sua idea è diventata uno spettacolo teatrale?
«Lo spettacolo ha preso forma in corso d’opera. Le parole che mettevo sul foglio ne chiamavano altre. L’ispirazione era continuamente fornita dalla vita di Goliarda Sapienza. Per esempio, l’idea di usare per la messa in scena diversi linguaggi, quello teatrale e quello cinematografico, nasce da un’esigenza di narrazione trasversale che utilizzasse le stesse scelte comunicative di Goliarda».
Durante la stesura, si è rivolta a qualcuno che le raccontasse di Goliarda, qualcuno che le è stato vicino in vita?
«La prima persona contattata dopo la scrittura fu Angelo Pellegrino – attore, scrittore e marito di Goliarda, nonché curatore di tutta la sua opera letteraria – che ringrazio per il sostegno. Poi, Beppe Costa, scrittore – poeta, fondatore della Pellicano Libri, nonché amico di Goliarda – e Monica Farnetti, scrittrice e docente universitaria, che ha scritto a più mani il primo libro di critica cinematografica e letteraria su Goliarda in Italia».
Perché ha scelto di dedicarsi ad un progetto sull’opera di Goliarda Sapienza? Cosa l’ha colpita di più di questa artista?
«La sua vita. Nei suoi libri autobiografici ho colto molti messaggi universali, che vanno oltre la normale condizione umana, tipici di chi ha raggiunto una certa consapevolezza e quindi trascendenza. Goliarda aveva la capacità notevole di viverle rimanendo immersa nella vita. Era da tempo che desideravo fare uno spettacolo su una donna di questo spessore e che trattasse questi temi».
Che cosa, invece, del suo capolavoro L’arte della gioia e in particolare, del personaggio centrale di Modesta?
«E’ tuttora un libro attuale nella sua drammaticità e, per certi versi, fortemente sovversivo. Modesta è una persona sola che ha cercato in tutti i modi di costruirsi una sua realtà famigliare e amicale passando sopra a tematiche morali e mettendo in prima piano una sua ricerca di felicità. Potrebbe sembrare una contraddizione, ma in Modesta non lo è. E’ questo che strania lo spettatore, insieme alla sua capacità di essere anche spietata in questo cammino».
Il suo è uno spettacolo auto-prodotto. Per scelta o a causa di altri tipi di difficoltà?
«In tempi politici come questi sarebbe semplice bloccare tutto il sistema nazionale teatrale, basterebbe stare fermi e aspettare finanziamenti statali che puntualmente non arriverebbero. Ho scelto quindi una strada iniziale di auto-produzione, prendendomi carico personalmente di tutta la responsabilità del progetto di fronte ai professionisti che inizialmente hanno investito con il loro lavoro nello spettacolo».
La ricerca di fondi è supportata anche da una raccolta di quote sul sito Produzioni dal basso, attraverso cui chiunque può dare un contributo.
«Adesso c’è bisogno di un finanziamento capace di aiutare la fine della produzione e la relativa distribuzione. Il crowd funding è una risposta efficace a questa esigenza, direi forse una delle più convincenti. Aderendo a questa iniziativa chiunque prenoti una o più quote di questo spettacolo potrà affermare di averlo prodotto e di far parte del gruppo di persone che finora hanno creduto in esso».
Il budget da raggiungere ammonta a 20mila euro. A che punto è la raccolta fondi?
«Per ora abbiamo raccolto circa 70 quote su duemila. Il cammino è ancora molto lungo, ma l’interesse sta crescendo sempre di più. Confidiamo molto sulle persone che vorranno sostenere questo spettacolo».
Quando vedremo Goliarda sulle scene? Ha intenzione di rappresentarlo anche a Catania, città natale della Sapienza?
«La prima data ufficiale disponibile è il 16 di marzo 2013 al Teatro Duse di Besozzo, in provincia di Varese. Ufficiosamente siamo in contatto con diversi altri teatri che hanno già dimostrato un loro interesse. Chiaramente la Sicilia, con Catania in prima fila, è una destinazione che ritengo obbligatoria per lo spettacolo. Sono aperta alle offerte che potrebbero arrivare, nel frattempo la ricerca di luoghi adatti alla messa in scena continua incessante».