Gli sbarchi e l’incapacità di accogliere Quello che vediamo e non vorremmo vedere

L’arrivo nel sud Italia di migliaia di migranti e profughi di guerra in condizioni precarie durante questa estate è frutto della chiusura delle frontiere che i nostri governi hanno imposto, causando di fatto l’incremento sistematico delle reti criminali del traffico di esseri umani. Senza limitazioni così ostative al diritto di muoversi un migrante non avrebbe bisogno di pagare migliaia di dollari e di mettersi su un barcone di fortuna per attraversare, a rischio della stessa vita, il Mediterraneo. Non partire da questa premessa significherebbe trattare un fenomeno divenuto ormai sistematico da più di 10 anni come un problema sempre nuovo e “emergente”, avallando inconsapevolmente l’assenza istituzionale di politiche serie dell’immigrazione e dell’accoglienza.

Le cause della migrazione di massa sono complesse ma sia chiaro che le norme e i dispositivi di chiusura delle frontiere fisiche e giuridiche dell’Europa fortezza potranno solo rendere più precari e pericolosi questi flussi senza fermarli. L’arrivo così massiccio di flussi migratori direttamente verso le coste siciliane, in particolare nella parte sud-orientale, è però una novità di quest’anno. Questo mutamento è dovuto sia al progressivo ridimensionamento della rotta libico-lampedusana che all’intensificarsi del flusso proveniente dall’Egitto, causato a sua volta dalle crisi politiche egiziane e siriane.

L’Italia sta fronteggiando in modo contraddittorio l’accoglienza. Da una parte, i reparti della guardia costiera, della guardia di finanza e la marina navale stanno facendo il possibile per salvare i migranti. Dall’altra però il nostro paese sta dimostrando una incapacità ormai cronica a gestire l’accoglienza nel rispetto dei diritti umani. In Sicilia non ci piace la gestione sempre “emergenziale” degli sbarchi. Prima accoglienza approntata nei luoghi più improbabili come palestre, palasport o scuole. Senza una base giuridica chiara che ne definisca procedure e funzioni restano luoghi super militarizzati gestiti esclusivamente con misure di “ordine pubblico”. Al loro interno girano agenti delle varie forze antisommossa con manganelli, manette e pistole piuttosto che medici, psicologi e mediatori culturali. L’accesso agli enti di tutela è consentito solamente – a discrezione di un funzionario prefettizio dominus assoluto e incontrastato – alle organizzazioni convenzionate come quelle del progetto Praesidium oppure a quelle amiche (perché non disturbano), come la Comunità di Sant’Egidio a Catania. Molto spesso manca un presidio sanitario decente e in questo la Regione Sicilia latita ancora senza definire un piano regionale per l’asilo.

Nel concreto, l’accoglienza italiana consiste dunque di trattenimento amministrativo ampiamente oltre il termine delle 48 ore previste, collocamento in casermoni con materassi a terra, cibo scarso, estrema difficoltà a comunicare sia con le autorità che col mondo esterno e i parenti e bivacco prolungato nell’attesa che la burocrazia dell’immigrazione eserciti il suo verdetto: accolto o espulso, clandestino o richiedente, minorenne o no. Per non parlare poi della carenza di strutture per il collocamento dei minori non accompagnati e della loro mancanza di tutela giuridica, di egiziani adulti rimpatriati per normale prassi sulla base di un accordo bilaterale in contrasto con la Convenzione europea dei Diritti dell’uomo che vieta i respingimenti collettivi e di tutti quei problemi che in gran parte sono causati da leggi liberticide.

L’Italia sembra un grande braccio steso sul mare Mediterraneo: facciamo tutti in modo che il pugno usato contro il migrante diventi una mano tesa pronta ad accoglierlo!

Giuseppe Belluardo – Comitato Territoriale ARCI Catania

Redazione

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