Al primo incontro del Circolo di Lettura '07 si è affrontato il tema della questione armena, a partire dalla lettura del romanzo di A. Arslan La Masseria delle Allodole, in cui l'autrice ricostruisce la tragedia dell'Olocausto armeno partendo dallo sterminio della sua famiglia durante la Grande Guerra- La masseria delle allodole: il film
Gli Armeni, popolo senza Patria
Il Circolo di lettura, organizzato dalla Facoltà di Lingue, riparte quest’anno con un incontro intenso e commovente, la lettura del romanzo di Antonia Arslan La Masseria delle Allodole (Rizzoli, 2004), nel quale l’autrice riannoda i fili della sua memoria familiare con le tradizioni e la storia del suo popolo d’origine: gli Armeni.
Dall’autobiografia, al centro del primo ciclo d’incontri, si passa adesso al tema l’identità e la storia, ai racconti di un gruppo, di un popolo, o più in generale di una cultura. E questo libro, vista la sua componente autobiografica e storico-documentale, funge da perfetta cerniera tra i due temi. A leggere alcuni frammenti del romanzo e a discutere insieme al pubblico della questione armena una lettrice d’eccezione, Paola Mildonian, docente di Letterature comparate all’Università di Venezia, amica fin dall’infanzia della Arslan e vittima anch’ella della stessa immane tragedia: il genocidio degli armeni per mano turca.
«Scrivere questo romanzo è stato come pescare in un pozzo profondo, aprire la strada a queste creature che hanno avuto una vita spezzata», scrive la Arslan, che con il suo intenso e appassionato romanzo ha cercato di ridar voce ad un popolo, quello armeno, che dopo massacri, violenze, soprusi da ottant’anni cerca di essere ascoltato. «Descrivere l’eccidio continua l’autrice è stato per me come ricomporre una ferita, come se qualcuno o qualcosa mi dettasse una storia che andava raccontata per rendere onore ai morti, ma anche per dire una verità e ricordare anche quelli, tra i turchi, che non si sono voltati dall’altra parte e che hanno dato, nel loro piccolo, un aiuto». Nelle sue pagine non c’è, infatti, una sola parola d’odio verso il popolo turco: c’è solo la tenerezza verso una famiglia, che diventa in questo libro metafora di un intero popolo, lacerata da un incolmabile dolore ma che, nonostante questo, non si dà per vinta e combatte per sopravvivere, grazie anche allaiuto di quanti non si sono fatti vincere dalla paura e hanno permesso ad una buona parte degli armeni di sfuggire alle persecuzioni.
Il romanzo inizia con la descrizione della zia dell’autrice, zia Henriette, sopravvissuta al genocidio del 1915 che per il trauma subito non aveva mai voluto raccontare la storia della sua sopravvivenza: «Ma ogni sera, a casa nostra, veniva a cena portando vassoi di biscotti e dolci. E la sua presenza riempiva la casa di memorie oscure». Ed ecco che il nonno della Arslan, Yerwant, decide un giorno di eleggere la piccola nipote custode delle oscure memorie della famiglia.
Yerwant ha lasciato da ragazzo lAnatolia per studiare nel Collegio armeno Moorat Raphael di Venezia, divenendo uno dei migliori chirurghi dell’epoca in Italia. Il fratello minore, meno avventuroso e più legato alle tradizioni familiari, Sempad, rimane nel villaggio natale per proseguire la sua attività di farmacista. Dopo quarant’anni Yerwant decide di tornare in Anatolia con la moglie e i figli per rivedere i suoi cari, e Sempad decide di rimettere a nuovo la masseria tra le colline per ospitare i parenti italiani, scavando addirittura una fossa per creare un campo da tennis.
Ma siamo nel maggio del 1915. Dietro la storia privata di queste famiglie incombe la grande Storia: l’Impero Ottomano entra in guerra contro la Francia, l’Inghilterra e la Russia, consegnando l’intero popolo armeno allo sterminio. I turchi, alleati dei tedeschi, attuano il mostruoso piano di eliminazione delle minoranze etniche per creare la Repubblica Turca. Anche lItalia entra in guerra e Yerwant può più partire. Non ci sarà nessuna festa: al suo posto solo orrore e morte. Scriverà un telegramma al fratello che però non arriverà mai, nello stesso momento in cui un altro telegramma, quello che darà inizio allo sterminio degli armeni, arriverà invece a destinazione: questo incrocio di telegrammi lega indissolubilmente la storia del singolo alla grande Storia.
La Masseria delle allodole, che dà il titolo al romanzo, rappresenta dunque il luogo della gioia, il luogo in cui i due fratelli, dopo tanti anni di lontananza, potranno finalmente rincontrarsi, ma che invece si trasformerà in una trappola mortale per tutti i maschi della famiglia Arslan, adulti e bambini, e da dove per le donne (fra cui la moglie Shushanig e le figlie di Sempad), inizierà un’odissea segnata da marce forzate, violenze e crudeltà, per giungere fino in Siria, verso la soluzione finale. Al posto del campo da tennis, in quella fossa verranno gettati i corpi senza vita degli uomini armeni dopo il massacro.
In mezzo alla sofferenza e alla disperazione queste donne coraggiose, più un maschietto-vestito-da-donna zio della Arslan, spinte da un inesauribile amore per la vita, riescono a tenere accesa la fiamma della speranza e a salvarsi. Dopo inenarrabili violenze e privazioni che falcidiano il gruppo, il convoglio dei deportati giunge ad Aleppo dove l’altro fratello di Sempad e Yerwant, grazie anche allaiuto di qualche turco, organizza la fuga in Italia dei quattro sopravvissuti: l’unico figlio maschio e le tre sorelline Nevart, Henriette e Assiag, di cui Yerwant si prenderà cura.
Il racconto della sofferenza si mescola alla descrizione della pietà, della speranza, dell’istinto di conservazione. La narrazione cresce in una tensione emotiva che conduce ad un finale in cui la sopravvivenza della memoria, affidata alla forza straordinaria delle donne, riesce a sconfiggere la violenza e loblio. La memoria vista, dunque, come fonte di giustizia e di conoscenza, nonché come una spinta vitale a non commettere più atti simili.
Nelle note biografiche di copertina cè scritto che Antonia Arslan ha scritto il suo primo romanzo perché non ha potuto farne a meno. Quei personaggi, quelle persone dal destino incompiuto, erano lì, e l’hanno chiamata. Hanno voluto essere ascoltati”. In questo romanzo, infatti, l’autrice rivela non solo un forte impegno civile, ma anche e soprattutto un attaccamento alle proprie radici familiari e culturali. «Noi armeni viene ribadito anche in questo incontro siamo stati privati della nostra storia ed è ora che ce ne riappropriamo». Per il popolo armeno, infatti, con le persecuzioni turche ha inizio la diaspora che lo costringerà ad abbandonare la propria terra e a disperdersi nel mondo, conservando sempre nel cuore la struggente nostalgia per una patria e una felicità perdute.
Mentre non esistono ancora stime univoche sul numero effettivo di morti (che non sarebbe comunque minore ad un milione), il governo turco incredibilmente si rifiuta ancora oggi di ammettere le proprie responsabilità e di riconoscere laccaduto. E il negazionismo è forse ancora più grave ed umiliante per gli stessi armeni, di qualsiasi altra forma di censura e di razzismo. Agli armeni basterebbe che la Turchia ammettesse l’evidenza dei fatti storici, ossia l’eccidio, perpetrato dalla classe politica dirigente dellepoca, anche senza una dichiarazione formale di scuse. A differenza della Turchia i curdi, dapprima complici dei turchi e in un secondo momento vittime anch’essi delle persecuzioni, hanno fatto le loro scuse ufficiali al popolo armeno. Ed è triste constatare come ancora oggi in Turchia siano in vigore leggi che mirano a tappare la bocca a quanti osano affrontare il tema del genocidio. Basti ricordare che uno tra i più famosi scrittori turchi, Orhan Pamuk, rischia tre anni di carcere per aver dichiarato in un’intervista ad un giornale svizzero che i turchi hanno ucciso un milione di armeni e trentamila curdi.
Romanzo storico nel senso classico delle parola, quello della Arslan, dove vero e verosimile si mescolano egregiamente a comporre il tragico affresco dell’Olocausto armeno. Un romanzo nel quale gli elementi di un’autobiografia familiare diventano l’esemplificazione massima del tragico destino del primo popolo cristiano della storia. Un romanzo in cui ogni parola trasuda storia e sofferenza, dolcezza e speranza: per non dimenticare.
Antonia Arslan (il vero nome della sua famiglia è Arslanian), laureata in archeologia, è stata docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’università di Padova. È autrice di saggi sulla narrativa popolare e d’appendice (Dame, droga e galline. Il romanzo popolare italiano fra Ottocento e Novecento) e sulla galassia delle scrittrici italiane (Dame, galline e regine. La scrittura femminile italiana fra ‘800 e ‘900). Attraverso l’opera del grande poeta armeno Daniel Varujan del quale ha tradotto le raccolte II canto del pane e Mari di grano ha dato voce alla sua identità armena. Ha curato un libretto divulgativo sul genocidio armeno (Metz Yeghèrn, Il genocidio degli Armeni di Claude Mutafian) e una raccolta di testimonianze di sopravvissuti rifugiatisi in Italia (Hushèr. La memoria. Voci italiane di sopravvissuti armeni). La Masseria delle Allodole (Rizzoli, 2004), il suo primo struggente romanzo sulla tragedia armena, ha vinto il Premio Campiello 2004 e la XV edizione del premio P.E.N. Club italiano, ed è stato tradotto in dieci lingue, ottenendo un enorme successo di critica e di pubblico. Prossimamente uscirà nelle sale italiane il film La masseria delle allodole, tratto dallomonimo romanzo e diretto dai fratelli Taviani.