Un monolite con un buco al centro da dove, lo scorso solstizio d'inverno, il sole è passato in mezzo alla fessura. È la scoperta avvenuta nei pressi della città, che indicherebbe una pietra orologio usata quattromila anni prima di Cristo. Si attendono conferme scientifiche
Gela, una pietra forata come calendario preistorico Via agli studi sulla possibile Stonehenge siciliana
Una sorta di Stonehenge siciliana, una pietra orologio che potrebbe essere stata utilizzata dagli uomini nel periodo preistorico (probabilmente VI-III millennio a.C.) come calendario per misurare le stagioni e i solstizi. Fa discutere la scoperta avvenuta nei pressi di Gela, a otto chilometri dalla città, in contrada Cozzo Olivo a poca distanza dalle necropoli preistoriche di Grotticelle, Ponte Olivo e di Dessueri.
Un monolite con un buco al centro attraverso il quale lo scorso solstizio d’inverno, durante un esperimento condotto dal dottore in archeologia Giuseppe La Spina insieme agli appassionati Michele Curto e Mario Bracciaventi, col supporto tecnico di Vincenzo Madonia, si è accertato come il sole passi proprio in mezzo alla fessura. Ciò significherebbe che gli antichi avrebbero utilizzato la pietra forata come calendario per misurare le stagioni e gli anni, avendo come riferimento i movimenti astrali. Di certo c’è molto da studiare, per capire se la pietra forata è un capriccio della natura o un lavoro umano.
Il territorio gelese si conferma in ogni caso straordinario patrimonio archeologico, continuando a offrire sorprese. Al Museo Archeologico Regionale di Gela si è tenuta una conferenza stampa, con gli autori del ritrovamento. Tra gli invitati anche Andrea Orlando, astrofisico dell’università di Catania e direttore dell’istituto di archeo-astronomia di Sicilia, il quale ha visitato il sito. «È punto di partenza e non di arrivo – ha detto -. Abbiamo visto la pietra, ha al centro un foro che non sappiamo se è naturale o artificiale. Di certo presenta un orientamento speciale, ad est, in cui si trova un angolo speciale a 120 gradi che in gergo tecnico è un azimut che indica un punto preciso, l’alba al solstizio d’inverno».
Una scoperta che al momento è una speranza, dopo il sopralluogo effettuato. «L’immagine visiva ci dà subito a pensare che si tratti di quello che noi auspichiamo, il primo impatto è quello», ha sottolineato Alberto Scuderi, direttore regionale dei Gruppi Archeologici d’Italia e noto studioso di archeo-astronomia. «Però intanto deve corrispondere tutto quello che la scienza ci impone».
La scoperta vera e propria è stata fatta durante il sopralluogo ai bunker anti-scheggia (le cosiddette casematte del secondo conflitto mondiale) per realizzare dei percorsi di studio da proporre alle scuole del territorio. È stato Scuderi a intuire, dal minuzioso rapporto ricevuto, l’importanza del sito, suggerendo tutte le verifiche necessarie per una conferma scientifica. Qualcuno traccia già possibili legami con l’Argimusco, tra i Nebrodi e l’Etna, di cui finora si è detto di tutto e di più – i buddisti ad esempio lo hanno individuato come luogo magico.
«Intanto è iniziato un percorso di ricerca e di studio – ha precisato La Spina – portato avanti da esperti del settore, che spero possa arrivare alla conferma del fatto che sia una pietra calendario». L’esperto Ferdinando Maurici ha confrontato l’attuale scoperta con la discussa pietra arenaria che si trova nei pressi di San Cipirello: «Negli anni ’60 i contadini già sapevano che quannu lu sule nasce nda petra è tempu ppi metere; e questa usanza affonda le sue radici nella preistoria. È bene dunque chiedere ai più anziani informazioni sulla toponomastica, sui detti e le usanze affinché contribuiscano alle ricerche degli studiosi. Per questo un sito archeologico va visitato diverse volte durante l’anno, cosicché si ricavino più informazioni attraverso l’alternarsi delle stagioni, così come si possono notare nuovi particolari o come si può incontrare quel pastore che ha la sua da dire sulla storia del luogo».