Gela, la lotta per un centro contro le malformazioni «Bastano i soldi che qui incassava Eni in un giorno»

«Gela non è l’ombelico del mondo, è l’ultima colonia dell’impero, più a sud di Tunisi. Per questo motivo bisogna alzare il livello: per non rimanere schiacciati ed essere troppo marginalizzati». Quando parla, capita spesso che il pediatra Antonio Rinciani tradisca la passione politica che lo anima. Più volte consigliere comunale, Rinciani è allo stesso tempo il promotore dell’associazione Vita Ora che è divenuta di recente una fondazione. Composta da professionisti locali che operano nel settore da più di 20 anni, porta avanti da anni una battaglia sulle malattie da industrializzazione, cioè quelle patologie che insistono per lo più in un sito industriale. Insieme soprattutto alle mamme. 

Lo scopo però non è quello della semplice denuncia sociale. L’obiettivo primario è l’ottenimento di un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), un ospedale dove non solo sarebbe possibile gestire in loco servizi sanitari che fino ad ora sono affidati ai cosiddetti viaggi della speranza, ma anche dove si potrebbero svolgere attività di ricerca clinica. In tempi di crisi come quelli attuali un’idea del genere sembra un’utopia. Il pediatra però è risoluto e chiaro. «Gli istituti di ricovero e cura sono istituti di eccellenza che sono extra budget rispetto alle risorse dell’assessorato regionale. Vengono istituti con un decreto della presidenza del consiglio. Questi istituti possono essere pubblici, privati e misti». 

Chi dovrebbe tirarli fuori i soldi necessari? «Non dimentichiamo che l’Eni – ammonisce Rinciani – ai suoi tempi d’oro qui guadagnava 750mila euro al giorno vendendo pet-coke, ma stiamo scherzando? Solo destinando gli incassi di un giorno avrebbe potuto finanziare l’istituto». C’è da chiedersi che interesse possa avere la multinazionale a investire su ricerche che potrebbero ulteriormente metterla in difficoltà. «La ricerca non è contro qualcuno, a noi deve interessare capire – aggiunge il pediatra – Dovremmo scrollarci questa mentalità da nemici e cominciare a collaborare. Ovviamente se c’è un’attività incompatibile con l’ambiente e la salute neanche a discuterne. Noi non stiamo indagando sulla colpa o sul dolo, stiamo dicendo che sicuramente qualcosa è successo. Le patologie riscontrate sono multifattoriali». 

A mancare, insomma, sembra essere stata la volontà politica. «Noi con l’associazione e la fondazione abbiamo provato con le amministrazioni precedenti a mettere in campo ricerche e studi epidemiologici, con delle convenzioni con l’università di Catania». Accordi disattesi, come quello del 2006 (sindacatura Crocetta) col dipartimento di scienze biologiche nel quale era stato siglato un protocollo d’intesa, in aggiunta a un progetto di monitoraggio sia della flora che della fauna oltre che dell’uomo. E quello del 2014 che prevedeva uno studio osservazionale con tre borse di studio per giovani ricercatori, sempre con la partnership dell’Università di Catania e dell’ospedale Vittorio Emanuele. «I soldi li doveva mettere il Comune – osserva Rinciani -. Le cifre non erano spaventose. Per il primo caso ad esempio erano necessari circa 120mila euro; e se penso che solo per le luminarie per la festa della patrona ci vogliono 50mila euro il rammarico sale». 

Così il pediatra torna a lanciare analisi e sfide. «Siamo a una svolta in questa città, dal punto di vista economico, politico e sociale. Se la nuova amministrazione vuole essere di rottura rispetto al passato, deve cominciare a dare risposte in tal senso». Anche perchè il tempo passa ma le questioni aperte rimangono. «In due giorni ho visitato due bambini che non avevo in cura e che hanno delle malformazioni. E questi sono quelli che sono capitati a me». Sono tanti poi gli studi che confermano le parole del dottore. «Sì, ma cosa ci dicono questi studi? Solo che dal punto di vista epidemiologico c’è una più alta incidenza – spiega Rinciani -. A noi deve interessare capire dove interviene questo fattore, o meglio questi fattori, che determinano i dati in eccesso e come intervenire. Noi dobbiamo cercare gli strumenti per intervenire prima, fare prevenzione quantomeno secondaria se non possiamo fare quella primaria. Cioè conoscere la causa e dove agisce cercare di interrompere questo circuito». La chiave per Rinciani è dunque la ricerca. Anche per attrarre le eccellenze.

«Si creerebbe una sorta di turismo sanitario. La nostra diventerebbe un’economia aperta, perchè ci sarebbe un flusso di denaro che viene da fuori. Per non fare in modo che dell’industria rimangano solo i danni si deve agire ora, prima che sia troppo tardi».


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