Non solo botte a un medico di pronto soccorso, o a un camionista che chiede solo di spostare un'auto. Non solo coltellate e operai di Fastweb. Bruno e Giovanni Di Giacomo, considerati i capi della Stidda gelese, erano diventati il punto di riferimento di tanti cittadini
Gela, gli stiddari e le spedizioni punitive su commissione «Vengono tutti da me, con le sciarrie mi sono arricchito»
«Tuttu u rapemmu (tutto lo apriamo, ndr)», «L’ha fari stari na maschera i ferru (lo devi ridurre una maschera di ferro, ndr)», «Vastunati, testi spaccati, gammi rutti, ci spaccammu i corna… l’amma ammazzare (bastonate, teste spaccate, gambe rotte, gli spacchiamo le corna, lo dobbiamo ammazzare, ndr)». Sono alcune delle frasi che precedono o seguono le spedizioni punitive organizzate da Bruno Di Giacomo, detto Marlon Brando, e dal suo fratello maggiore Giovanni. Considerati i capi della Stidda a Gela, entrambi sono stati arrestati ieri – insieme ad altre 33 persone – nell’ambito dell’inchiesta Stella cadente.
Chiedono di essere chiamati non con i loro nomi di battesimo, ma con l’appellativo di parrinu (padrino) come impone il ruolo di figliocci. Manifestano all’esterno la forza di intimidazione del clan attraverso violente e feroci spedizioni punitive. Gli inquirenti, infatti, hanno ricostruito numerosi episodi in cui a essere picchiati sono degli antagonisti nei confronti dei quali c’è l’esigenza di «ribadire il dominio mafioso sul territorio per imporre le loro regole o per punire chi ha osato mancare loro di rispetto».
Vendicare l’onta subita da un parente, rimettere al proprio posto chiunque osi contrastarli, ma anche risolvere semplici discussioni della vita di tutti i giorni. «Tuttu chinu i sangu, tuttu u rapiu (tutto pieno di sangue, tutto l’ho aperto, ndr)», è il racconto che fa Bruno dopo avere picchiato un camionista che si era permesso di chiedergli di spostare la macchina. Di un automobilista che, durante un diverbio, invece lo riconosce ed evita di farsi menare dice: «I vermi ci vinnuru, viri comu sa finisciunu poi i farisi i muntati? (Gli sono venuti i vermi, vedi come la smettono poi di alzare la testa?, ndr)».
Va peggio a due operai della Fastweb, impegnati in alcuni lavori in città, che invece non lo riconoscono. Durante una discussione per futili motivi, ammettono di non sapere chi si trovano di fronte. Bruno lo prende come uno «sfuttimento», ovvero una presa in giro, e li accoltella. È Giovanni, invece, a prendere a calci e pugni un medico del pronto soccorso di Gela che chiede di aspettare di potere vedere la Tac prima di rispondere alle sue domande sulle condizioni di un parente sottoposto a un controllo.
Non solo questioni private, alcune aggressioni vengono fatte anche su commissione e dietro lauti compensi da parte di cittadini che si rivolgono a loro per porre fine a dissidi privati o punire qualche nemico. A più riprese Bruno sottolinea addirittura la propria insofferenza per essere sempre cercato da tutti per dirimere le più svariate controversie. «Ma venunu tutti i mia…(ma vengono tutti da me, ndr)». Il fratello maggiore, invece, non si lamenta affatto: «Mi riccheru chisti cu sti sciarri. A cumu mi l’ava fari sti sordi iu, va?! (Mi hanno arricchito questi con i litigi. Come avrei potuto fare tutti questi soldi?, ndr)».
Alcuni dei cittadini che si rivolgono agli stiddari sono gli stessi già sottoposti alle loro estorsioni, pronti a reclamare la «protezione da parte del mafioso che ritenevano spettasse loro», ricostruiscono gli inquirenti. Il proprietario di una pizzeria è stato minacciato dall’ex marito di una dipendente che pretendeva il licenziamento della donna. «Si pigghia e si stocca tuttu, na para i vastunati e si va setta o pronto soccorso, ci mettemmu a firma. (Si prende e si spezza tutto, un paio di bastonate e va al pronto soccorso, ci mettiamo la firma, ndr)». A loro arriva anche la richiesta di un cliente che, uscito insoddisfatto da un negozio di telefonia, ha intenzione di fare picchiare il commesso.
Sono gli stiddari il punto di riferimento di alcuni gelesi pure per il recupero di cose rubate. «C’è mio figlio che piange, per favore risolverlo grazie rispondi». È la madre di un ragazzo a inviare un sms a Bruno: il figlio piange perché gli hanno rubato una moto Kawasaki. I messaggi di richiesta della donna continuano per giorni. «Bruno sono sempre io, non ce la faccio più con questo pensiero non riesco nemmeno a dormire». Fino a quando arriva la risposta sperata: «Domani il cagnolino viene a casa». E la madre non trattiene l’emozione: «Grazie fratello mio. Sto piangendo sola sola dalla felicità. Tvtb». Non solo motorini, c’è anche chi è interessato a recuperare un mezzo agricolo, una motozappa – peraltro non funzionante – o un cellulare. Come ha detto il procuratore capo di Caltanissetta Amedeo Bertone, «La Stidda operava come uno Stato nello Stato».
Qualcuno dei gelesi però, ha chiara la differenza e decide di denunciare. È il caso del proprietario di un bar da cui Bruno si era presento pochi giorni dopo l’inaugurazione per imporre i propri prodotti di pasticceria per la colazione. In un primo momento la richiesta viene accolta «per evitare eventuali ritorsioni». Di Giacomo però gli porta troppi cornetti che non sono graditi alla clientela, tanto che spesso finiscono nella pattumiera. Il titolare chiede di interrompere e così avviene. Salvo poi trovarsi una gomma dell’auto bucata. L’uomo denuncia l’accaduto, inteso come «un messaggio intimidatorio». Al proprietario di una pasticceria viene proposta, invece, la fornitura di prodotti di plastica. «Tutti dobbiamo mangiare…Puoi avere sempre bisogno…Siamo tutti sotto questo cielo…chi mangia assai si soffoca», dice Bruno dopo avere incassato il rifiuto. Nel frattempo, un altro bar che hanno appena rilevato viene incendiato. «I cristiani dopo una vita di travagliare, ora arrivinu iddri e m’anna scassare a minchia e ora ciò dico io: “Nun mi rompere a minchia». È così che il titolare tiene alta la testa e decide di denunciare.