Sono ancora nella prigione di Billwerder i due attivisti del centro sociale Liotru bloccati dalla polizia durante il vertice internazionale sul clima. Dopo settimane, grazie a una lettera, ecco la prima testimonianza diretta di Alessandro Rapisarda. «Alcuni in udienza dal giudice senza avvocato», scrive nella missiva
G20, racconto di un catanese fermato ad Amburgo «Arrestato, denudato e chiuso in una cella oscura»
Chi ha avuto modo di parlargli al telefono li descrive come due ragazzi «in buone condizioni di salute». Ansiosi di riassaporare la libertà, dopo settimane trascorse nella prigione di Billwerder, ad Amburgo. Lì dal 7 luglio scorso sono detenuti Alessandro Rapisarda e Orazio Sciuto. I due catanesi, 25 e 32 anni, appartenenti al centro sociale etneo Liotru, arrestati dalla polizia tedesca nelle calde giornate del G20, il vertice mondiale sull’ambiente segnato da manifestazioni e accese proteste di piazza. Trascorso più di un mese dalle retate degli agenti teutonici c’è la prima testimonianza diretta, grazie a una lettera che Rapisarda ha scritto al portale online Infoaut. Nel testo l’attivista catanese ripercorre le giornate ad Amburgo, il fermo della polizia e il lungo periodo che sta trascorrendo in custodia cautelare a Billwerder in attesa del processo dove si dovrà difendere, come il compagno di viaggio, dall’accusa di tentata lesione e disturbo della quiete pubblica.
«La prima perquisizione corporale in una caserma e poi al GeSa», struttura detentiva appositamente allestita con l’ausilio di decine di container in occasione del G20. «Entrato lì – prosegue nel racconto Rapisarda – sono stato prima denudato totalmente, hanno controllato anche le cuciture delle mutande e mi hanno tolto orologio e felpa, in nome della mia sicurezza». «La cella era buia – continua – insonorizzata, addobbata con una strettissima panca di legno e un bottone per le necessità». Insieme ai due etnei sono finiti in carcere in prevalenza manifestanti non tedeschi e alcuni italiani. Come il palermitano Emiliano Puleio e la 23enne Maria Rocco di Belluno, recentemente scarcerata.
Tutti gli arrestati contestano le modalità di interrogatori e udienze, così come la totale assenza delle istituzioni italiane durante la vicenda. Come conferma nella sua missiva lo stesso Rapisarda: «Alcuni di noi sono stati chiamati in udienza dal giudice senza che gli venisse concessa la presenza di un avvocato». Tra le tante incongruenze di questa storia c’è proprio il trattamento riservato ai detenuti. Sciuto per settimane ha avuto addosso gli stessi vestiti che indossava al momento del fermo, ci sono poi i problemi per la ricezione di libri e lettere. Un capitolo a parte è poi quello dei colloqui in carcere e delle telefonate. I due etnei, fanno sapere i loro conoscenti, chiamano «abbastanza regolarmente» tramite una scheda prepagata fornita dall’amministrazione penitenziaria, ma con un numero limitato di minuti per le conversazioni.
Per i faccia a faccia – in Germania, contrariamente all’Italia, si possono incontrare anche conoscenti e amici – sono disponibili due ore ogni mese da distribuire durante le settimane. Il 30 luglio i parenti di Rapisarda sono volati in Germania per incontrare il figlio, mentre durante il week-end appena trascorso è toccato a quelli di Sciuto. In attesa che la giustizia faccia il suo corso è in atto una mobilitazione per sostenere la causa dei manifestanti arrestati. Il centro sociale Liotru nelle scorse settimane si è radunato davanti il palazzo della prefettura ma ha anche dato il via a una campagna di raccolta fondi grazie al portale produzionidalbasso.com. Soldi utili per sostenere i tanti costi che fanno da contorno a questa storia. Compreso una possibile cauzione per il rilascio che, secondo alcune indiscrezioni, potrebbe arrivare alla quota totale di 20mila euro.