«Rifornivo questa piazza di spaccio con almeno 100 chilogrammi di marijuana al mese e la vendevo a circa 2000 euro». Per tanto tempo, almeno dal 2012 al 2015, Sebastiano Sardo, oggi pentito e conosciuto con l’appellativo di Iano occhiolino, avrebbe riempito di droga la fossa dei leoni. Termine con cui viene riconosciuta la piazza di spaccio al viale Grimaldi 10, tra i quartieri San Giorgio e Villaggio Sant’Agata. Finita, nei giorni scorsi, al centro di un’operazione con 16 arresti eseguiti dai carabinieri della compagnia di Fontanarossa. Quattro mesi di appostamenti, riprese con sofisticate telecamere e intercettazioni per ricostruire il business che sarebbe stato gestito da Rosario Ragonese, detto ‘u biondu e liuni biondo, insieme al cognato Maurizio Gaetano Girone. Entrambi, secondo i collaboratori di giustizia, affiliati al clan mafioso Cappello «e in particolare al gruppo del boss Orazio Privitera e Massimiliano Salvo». Grazie agli atti dell’inchiesta, adesso, emergono ulteriori particolari sulle modalità con cui i due avrebbero gestito il business della vendita al dettaglio del «formaggio», nome con cui vedette e pusher chiamavano cocaina e marijuana.
La gestione era organizzata 24 ore su 24 con l’ormai solita suddivisione di ruoli. E con il passaggio delle dosi costantemente immortalato all’ingresso della scala H del complesso. Palazzoni di case popolari, costruite sotto il livello della strada principale (da qui il nome di fossa) in un’area residenziale in cui è possibile entrare e uscire da una sola rampa. Dal secondo piano, come si vede in diversi filmati, si alternavano gli addetti a calare le dosi, attraverso l’utilizzo di un secchio di plastica blu. Le figure «indispensabili» erano coloro che si occupavano di prelevare gli incassi e le immancabili vedette. Collegate tra loro attraverso una serie di ricetrasmittenti. Nei dialoghi intercettati non si pronunciano nomi, al massimo qualche appellativo come «il cinese» e «il grosso», ma numeri. Scelti in base alle rispettive posizioni: «Numero quattro gli serve stagnola?», chiedeva Antonio Carrubba. Dall’altro lato rispondeva Antony Lentini: «Sì, stagnola, stagnola, stagnola».
Ragonese, 42 anni fratello del killer Gino Ragonese, viene indicato dagli investigatori come «leader del gruppo e punto di riferimento del clan mafioso». Il presunto capo non viene mai ripreso mentre spaccia ma al viale Grimaldi 10 sarebbe stato una presenza costante. In particolare quando c’era qualche problema. Dal pusher schiaffeggiato, per avere consumato due dosi di cocaina provocando un danno di 40 euro, allo spacciatore finito in galera che lamentava attraverso una lettera le poche attenzioni nei suoi confronti. Per fare arrivare il messaggio al capo Massimo Rossello, mentre era detenuto nella casa circondariale di piazza Lanza, avrebbe adottato lo stratagemma di inserire la lettera per Ragonese dentro una busta contenente una seconda missiva, destinata al padre Antonio. «Vita è già un mese che sono chiuso, ma non mi interessa perché sappiamo che vita facciamo e vado incontro di quello che viene». Il problema per il pusher finito dietro le sbarre sarebbe stato Girone, il cognato del presunto capo: «Non mi ha mandato neanche un centesimo e sto facendo il cane per una sigaretta. Vita x favore pensaci tu e facci venire i vermi».
Durante l’inchiesta, una delle scoperte più importanti è quella di un foglio manoscritto. Trovavo nelle disponibilità di Antonio Rossello (il padre del pusher detenuto). Una sorta di libro mastro dello spaccio fatto di sigle e numeri. Cocaina e marijuana venivano distinte con l’utilizzo delle lettera P (palline) e F (fumo). La lettera R invece indicava le rimanenze, cioè la droga invenduta. Queste voci, a loro volta, erano suddivise in colonne per i turni di spaccio: giorno e sera. In basso a destra, uno dopo l’altro, anche una serie di nomi e soprannomi, riferimenti, secondo la ricostruzione degli inquirenti, a tutti coloro che lavoravano nella piazza di spaccio.
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