Fossa comune Mediterraneo

“Dal 1988 almeno 14.957 giovani sono morti tentando di espugnare la fortezza Europa”. E’ l’agghiacciante contabilità che si è incaricato di tenere Gabriele Del Grande, giornalista precario, autore del blog Fortress Europe.


Gabriele di cosa ti occupi sul tuo blog?
È un osservatorio sulle vittime dell’emigrazione per censire il numero di stranieri che negli ultimi trentanni hanno perso la vita attraversando il Mediterraneo. E non solo per approdare in Sicilia e a Lampedusa. Ma anche in Spagna, Grecia, Malta, Cipro. Poi, col passare del tempo, sono aumentati i miei viaggi sulla riva Sud di questo mare. E ho cercato storie che accanto ai numeri raccontassero quello che stava succedendo sotto gli occhi di questa Europa cinica. Così sono nati tanti reportage e inchieste pubblicati poi sul blog divenuto ormai un punto di riferimento per tanti giornalisti. Fortress Europe, cioè Fortezza Europa, è stato anche tradotto in 19 lingue. Ed è citato dalla stampa nazionale e internazionale: dal New York Times, ai siti dei blogger senegalesi.

Com’è nata l’idea? Eri già un blogger?
Non lo ero. Ero, e lo sono ancora oggi, un giornalista precario. Mi capitò l’occasione di proporre e di vendere un pezzo a Redattore Sociale. Volevo rispondere alla più banale delle domande, cioè quante persone avevano perso la vita nel tentativo di attraversare il canale di Sicilia dalla Libia e dalla Tunisia. Quindi cercai notizie documentate di naufragi nell’archivio on line della stampa internazionale. Fu un modo per rendermi conto della gravità della situazione. Capii che un articolo dura poche ore e poi sparisce. E quindi pensai al modo più veloce ed economico per pubblicare. E così registrai il blog senza grosse aspettative.

Qual è il maggior numero di visite raggiunto? E quando?
Il mese più visitato, con cento mila visite, è stato settembre. Probabilmente perché in quel mese si è parlato, nella trasmissione di Riccardo Iacona, dei respingimenti in Libia. E  Fortress Europe ha collaborato allo speciale. Normalmente però la media è sulle 40 mila visite al mese.

Qual è l’iter iniziale di un immigrato che arriva in Italia? 
In realtà l’inizio di tutto è capire chi è un immigrato, cioè cosa fa sì che per esempio un siracusano a Milano non sia un immigrato e invece un tunisino lo sia, pur essendo Tunisi più a nord di Siracusa. Premesso questo, in molti casi gli stranieri arrivano in Europa in aereo o in autobus, con un visto turistico rilasciato dalle ambasciate italiane di tutto il mondo. Poi il visto scade, e molti rimangono oltre la scadenza prevista. Quindi trovano un lavoro in nero aspettando la possibilità di regolarizzarsi con i decreti sui flussi o le sanatorie. E’ impossibile arrivare qui con un contratto d’assunzione. Nessuna persona sana di mente assumerebbe uno sconosciuto. A meno che non venga pagato. E ci sono stati tanti casi a Siracusa, Pescara, Salerno. La legge sull’immigrazione è assurda e crea circoli viziosi. Altre volte, gli immigrati vivono in Italia senza documenti perché arrivano via mare. Questi ultimi spendono 2-3 mila euro per fare la traversata dalla Libia verso la Sicilia. Dopo, vengono identificati. Alcuni di loro, come quelli che scappano dalla guerra civile in Somalia, chiedono asilo politico. Ma ai migranti arrivati dalla Tunisia, dal Marocco, dall’Egitto, che non possono richiedere asilo, vengono rilasciati dei fogli di via. Rimessi in libertà, vivono senza più documenti e senza avere più la possibilità di ottenerli. E’ così che si crea la clandestinità.

L’Italia è un luogo d’approdo o solo di passaggio?
Entrambe le cose. Ci sono stranieri che si fermano qui. Altri che passano da Lampedusa per andare in altri Paesi europei. Il nostro Paese è un po’ un corridoio d’ingresso. Ci sono anche quelli che, espulsi da un Paese, approdano in Italia per ritornare dove sono stati cacciati. Come il caso di un ragazzo tunisino, detenuto nel centro di Lampedusa, la cui famiglia era in Francia. Aveva vissuto lì gran parte della sua vita. Fu espulso dal suolo francese perché non aveva il permesso. E l’unica carta che poteva giocarsi, era quella di salire sul barcone.

Si parla di CIE, in tutto 13 nel nostro paese. Cosa sono?Quante sono le persone che vi transitano? In quali condizioni vivono?
I CIE, ex centri di permanenza temporanea, sono strutture in cui vengono detenuti gli stranieri. Hanno una capienza di circa un migliaio di posti. E le condizioni variano. Possono essere pessime, come a Crotone, a Lamezia Terme, a Trapani. Oppure possono essere ineccepibili. Come quelli di Modena e Torino che sono nuovi e per le quali lo Stato paga anche 80 euro al giorno per ogni persona trattenuta. Tanti soldi che finiscono agli enti gestori. Ma aldilà di questo, rimane di fondo una violenza istituzionale fortissima che priva questi uomini della libertà. E chi non ha il permesso non è il cattivo di turno. Ha solo perso la possibilità di ottenerlo perché, durante il percorso a ostacoli della burocrazia italiana, anche un banale cavillo può fare saltare tutto. Magari lo straniero nel frattempo ha messo su famiglia. E quando non se lo aspetta, viene detenuto e rimandato a casa. Questa, secondo me, è la vera violenza. Ci sono stati casi, nei centri di Bari e Milano, anche di rivolte contro la detenzione che adesso è di sei mesi. E di conseguenti pestaggi gravi da parte delle forze dell’ordine. Sei mesi…una pena che non danno neanche a certi personaggi noti accusati di corruzione.

Oltre al blog, e alle collaborazioni giornalistiche, sei andato oltre. Hai anche scritto un libro “Mamadou va a morire”
Sì. In Italia è uscito a maggio del 2007. L’anno successivo è stato tradotto in tedesco e in spagnolo. E’ andato bene. È stato ristampato 4 volte. E adesso uscirà un altro libro “Il mare di mezzo” che raccoglie tutte le inchieste degli ultimi anni di lavoro sul blog. Il libro è lo strumento adatto per raccontare storie, perché non bastano le cinquanta righe di cui dispone un giornale.

Hai fatto tantissime cose, nonostante la tua giovane età. Lo stesso non si può dire dei nostri coetanei. Sei d’accordo?
No, non sono d’accordo. Non trovo nulla di straordinario in quello che faccio. Trovo invece straordinario, fuori dall’ordinario, la gerontocrazia di cui siamo tutti vittime in questo paese. Un  Paese in cui non c’è un ricambio generazionale. Se ci sono così pochi giovani, che poi hanno 30 anni, è anche a causa di un sistema che non si vuole rinnovare. In realtà i trentenni sono quelli che poi hanno più energie e più entusiasmo. Il problema è che non c’è spazio. O ti fai avanti a colpi di gomitate. O non riesci. Per questo si rimane tagliati fuori fino a quarant’anni.


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