«Nonostante abbia pagato il mio debito con la giustizia, nonostante mi sia allontanato da ogni logica delinquenziale e nonostante non abbia più nessun procedimento a carico, mi sento perseguitato, oppresso, tartassato e bersagliato per ogni cosa io faccia». Sono queste le parole che Giuseppe Salvatore Riina, detto Salvo, terzogenito del boss mafioso Totò Riina (morto nel novembre del 2017), affida alla propria legale di fiducia, l’avvocata Fabiana Gubitoso del Foro di L’Aquila, a seguito dell’ennesimo accaduto. Tutto scaturisce dalla necessità, per l’uomo, di procedere al rinnovo del proprio documento d’identità, presso il Comune di Corleone (in provincia di Palermo) dove attualmente risiede ancora la madre e dove Salvo ha abitato in passato e dove di recente è tornato a vivere anche lui. «La notizia – spiega l’avvocata Gubitoso – desta subito grande attenzione e lo stesso sindaco del paese, Nicolò Nicolosi, convoca un Consiglio comunale al fine di deliberare di sollecitare le autorità e la magistratura a obbligare il Riina a lasciare la città poiché la sua presenza viene ritenuta inopportuna, sgradita e indesiderata».
Salvo Riina è stato condannato a una pena di otto anni e dieci mesi – interamente espiata – per reati commessi fino al 2002, e sottoposto prima a sorveglianza speciale e poi a libertà vigilata, per altri otto anni. Nel 2019 ha avuto revocata qualsiasi misura di sicurezza perché, come ha scritto il magistrato di sorveglianza di Pescara in un’ordinanza ha «avuto una costante adesione al trattamento rieducativo e una seria revisione critica del suo trascorso, né vi sono elementi concreti, specifici e attuali per ritenerlo ancora vicino a organizzazioni criminali». Da qui arriva la domanda della sua legale: «Può il sindaco di un paese, e quindi, lo stesso Consiglio comunale chiedere di allontanare e impedire di chiedere la residenza a un cittadino italiano, libero da ogni vincolo o prescrizione? Affermare pubblicamente che il Riina sia ancora pericoloso significa non credere alla rieducazione del reo e calpestare la nostra Costituzione; continuare ad accostare il suo nome al padre, significa avere pregiudizi e preconcetti indelebili».
E attraverso la sua avvocata anche Riina, deciso a tutelarsi in tutte le sedi opportune, dichiara che: «Voglio essere Iasciato in pace e poter vivere tranquillamente la mia vita, seguendo il mio lavoro di autore e dedicare il mio tempo ai miei affetti e interessi, come una persona qualsiasi». Dalla cittadina in provincia di Palermo, Riina junior mancava dal 2017. Da quando, dopo avere ottenuto l’autorizzazione del giudice, ebbe il permesso di tornare per fare da padrino al figlio della più piccola delle sue sorelle. Il fratello maggiore, Giovanni sta scontando una condanna definitiva all’ergastolo per duplice omicidio e mafia. Salvuccio porta un cognome scomodo che non ha mai rinnegato. Sulla storia del padre ha scritto un libro – dal titolo Riina family life – che ha suscitato molte polemiche.
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