Fiandaca e Lupo: mafia, antimafia e concorso esterno «Servirebbe una legge, ma la politica non ha capacità»

«Per opporsi alla mafia ci sarebbe bisogno di uno scatto culturale. Che però manca anche alle associazioni più impegnate». A dichiararlo è Giovanni Fiandaca, professore ordinario di diritto penale all’Università di Palermo, giunto a Catania per presentare il libro Mafia e antimafia ieri e oggi, scritto insieme allo storico ed esperto di Cosa nostra, Salvatore Lupo. «L’antimafia ha fatto cose serie – dichiara Fiandaca a MeridioNews – ma a un certo punto è iniziata a emergere anche un’antimafia di facciata. Credo che vada ripensata sia da un punto di vista teorico che pratico». Lavoro che spetterebbe alle associazioni che dell’antimafia hanno fatto la propria missione, ma che per il giurista stanno avendo difficoltà: «Manca una riflessione seria, mentre mi sembra non manchi la retorica». A salvarsi non è neanche Libera, l’associazione guidata da don Luigi Ciotti, che dopo le polemiche degli ultimi tempi – come nel caso del litigio con Franco La Torre – ha denunciato il presunto tentativo di infangare la storia della onlus. «Pure Libera merita le sue critiche», afferma il docente.

Da Fiandaca, poi, anche un commento sul dibattito riguardante il concorso esterno in associazione mafiosa, reato di cui ultimamente si è discusso dopo l’archiviazione dell’indagine a carico dell’editore del quotidiano La Sicilia Mario Ciancio. Poiché, a detta della giudice Gaetana Bernabò Di Stefano, il concorso esterno di fatto non esisterebbe come reato. «Non entro nel merito dei fatti contestati perché non li conosco – commenta – ma un giudice non può dire che il reato non sia previsto dal codice penale perché, anche se in maniera complicata, è previsto. Quello del concorso esterno è un reato che nasce combinando il reato di associazione mafiosa con le norme riguardanti il concorso di persona». Ciò sarebbe sufficiente, quindi, ad affermare l’esistenza di una base normativa: «Su questo non ci sono dubbi – chiarisce il giurista -. Il problema semmai è che si tratta di una base debole. In questi casi – prosegue – succede che la ricostruzione dei presupposti del reato sia inevitabilmente legata a un’opera di concretizzazione da parte della giurisprudenza». 

Nella storia del concorso esterno, una tappa fondamentale è rappresentata dalla cosiddetta sentenza Mannino, con la quale la Cassazione, nel 2005, assolse l’ex ministro dall’accusa di aver stretto un patto con la mafia basato sul voto di scambio. «Dopo quel pronunciamento – sottolinea Fiandaca – l’interpretazione del reato è diventata ancora più difficile». Sull’esigenza di un intervento da parte del legislatore, la posizione del docente è chiara: «Sarei favorevole, ma sono scettico riguardo alla capacità da parte del parlamento odierno di riuscirci».

Tornando al tema dell’antimafia, a credere che sia giunto il momento di fermarsi per ricomporre i pezzi è anche Lupo: «È stato uno dei grandi movimenti d’opinione del nostro Paese – dichiara – e ancor’oggi ce n’è di bisogno, ma credo vadano ridefiniti gli scopi. In un’era post-corleonese – continua – la sua natura non può più essere quella di inizio anni Novanta». Su uno dei casi più eclatanti dell’ultimo anno, quello riguardante il presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante, indagato per concorso in associazione mafiosa, il docente è prudente: «C’è un’indagine in corso e non mi pronuncio – commenta – anche perché è troppo facile dire che prima era un santo e poi un criminale». Tuttavia, per Lupo non sottolineare un cambiamento rispetto al passato sarebbe sbagliato: «Un tempo le organizzazioni degli imprenditori dicevano che la mafia non esiste e che chiunque ne parlava era un nemico della Sicilia. Rispetto alla linea portata avanti da Lo Bello-Montante non posso che essere d’accordo sulle parole e sui principi espressi. Poi  – continua – se i comportamenti sono stati divergenti da quelle parole è un altro discorso».

Tra i problemi del movimento antimafia, ci sarebbe infine anche una questione di spazi: «Essendo nato con la crisi dei partiti, ha occupato uno spazio politico molto vasto. Forse fin troppo. Perché se tutto diventa mafia si perde di vista la reale lotta a Cosa nostra. Come in tutte le questioni morali, il rischio è di sconfinare nel moralismo». E di andare a caccia di una causa scatenante: «Se penso alla Trattativa? – conclude – Certo».


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