Ex Province, il voto slitta a febbraio 2017 Ars decide rinvio, opposizioni all’attacco

Ancora un rinvio. La fase post ex Province viene ulteriormente rimandata, con il voto per l’elezione delle assemblee dei liberi consorzi e delle città metropolitane che si terrà il 26 febbraio. A deciderlo è stata la maggioranza dell’Assemblea regionale siciliana. Il voto ha dato il la a una nuova polemica tra governo e opposizione.

«Ancora una volta sull’altare degli interessi dei siciliani, e per beceri interessi di bottega, si sacrifica il diritto di partecipazione e di ricostituzione degli organi sovracomunali dopo che Pd, Udc e Ncd hanno espropriato del diritto di voto i cittadini, con la soppressione del suffragio universale – dichiara il capogruppo di Forza Italia Marco Falcone -. Ora hanno anche impedito, per la terza volta, l’espressione del voto ai consiglieri-sindaci dei comuni dell’Isola». 

Duro anche il Movimento 5 stelle, secondo cui la politica regionale sta anteponendo se stessa agli interessi della collettività. «La maggioranza sequestra il destino dei siciliani perché lotta per gli strapuntini – dichiarano i deputati Matteo Mangiacavallo, Salvatore Siragusa e Giancarlo Cancelleri -. Avrebbero mostrato più serietà e compostezza se avessero rinviato al 30 febbraio».

A difendere la scelta di rimandare il voto, un primo tempo fissato per il 20 novembre, è stato invece il Partito democratico. «Il gruppo parlamentare del ha sostenuto la norma per il rinvio delle votazioni per superare alcune incongruenze tecniche che avrebbero potuto falsare il risultato e fare annullare le elezioni. Nessuna paura di andare al voto, ma senso di responsabilità verso le istituzioni ed i cittadini», si legge in una nota.

La questione ex Province, oltre a vedere protagonista il futuro politico degli enti intermedi, riguarda da vicino anche i dipendenti di liberi consorzi e città metropolitane, che in alcuni casi da mesi sono alle prese con ritardi nel pagamento degli stipendi e una gestione amministrativa che, inevitabilmente, paga il prezzo dell’assenza di un indirizzo politico.


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