Cronaca

L’ergastolano Mario Ercolano e la gestione di Cosa nostra a Catania: «Chiama dal carcere dieci volte al giorno»

«Ma scusa, uno che è all’ergastolo come comunica dal carcere?». «Con il telefono… minchia… come comunica…». Una domanda seguita da una risposta che sembra quasi scontata. Tanto da fare apparire il quesito troppo ingenuo anche a chi l’ha posto: «Perciò uno che è all’ergastolo ha il cellulare… cose dei pazzi…». «Chiama dieci volte al giorno», replicava ancora l’interlocutore. È il 17 gennaio 2022 quando gli investigatori della polizia intercettano un dialogo tra Franco Bontà e Pietro Iudicello. L’oggetto della loro discussione è l’uso disinvolto del cellulare da parte di Mario Ercolano, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Sebastiano Paratore, ucciso e bruciato nelle campagne di Acireale nel 2005. Secondo gli inquirenti Ercolano, nonostante il regime detentivo in alta sicurezza, avrebbe continuato a fare valere il suo peso all’interno della famiglia mafiosa di Cosa nostra a Catania. Particolari e aneddoti contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare che ha fatto scattare il blitz denominato Ombra, sui nuovi vertici della mafia nel capoluogo etneo.

Ercolano sarebbe stato una sorta di leader carismatico, lasciando il ruolo strategico ed esecutivo nelle mani dell’imprenditore Francesco Russo. Favorito, quest’ultimo, dall’essere libero e senza i limiti che, invece, doveva fronteggiare Ercolano da dietro le sbarre. L’utilizzo del cellulare all’interno della casa circondariale di Teramo sarebbe avvenuto in maniera pressoché condivisa con altri detenuti, con periodiche sostituzioni delle sim-card. Di notte, per esempio, lo avrebbe gestito Antonino Barbagallo, mentre durante il giorno sarebbe passato nelle mani di Christian Paternò ritenuto dai magistrati, una volta scarcerato, il nuovo vertice operativo mafioso nel rione San Giovanni Galermo. Paternò avrebbe parlato con la moglie e con il cognato mentre Ercolano è stato intercettato più volte con Salvatore Fazio, allora responsabile del gruppo mafioso nel quartiere Cibali. Dialoghi in cui emergerebbe la volontà di gestire affari e dinamiche interne, senza però disdegnare i colloqui con i parenti come recentemente emerso nel blitz che ha portato al fermo di Sebastiano Ercolano junior, figlio di Mario.

Per risalire alle modalità con cui avvenivano le telefonate, la polizia ha piazzato anche una telecamera nei pressi di un chiosco in piazza Bonadies, nella zona dello stadio Cibali. Il 15 dicembre 2020 viene inquadrato un uomo, rimasto non identificato, insieme a Salvatore Fazio. In quel frangente quest’ultimo avrebbe utilizzato un telefono «custodito dal gestore del chiosco» per parlare con Ercolano. Grazie a questa chiamata gli inquirenti mettono insieme i pezzi e scoprono che l’uomo che un attimo prima si trovava con Fazio altro non era che un emissario del clan Cappello. Oggetto del confronto sarebbe stata un’estorsione da condividere con il clan rivale, ai danni di un circolo di padel nei pressi della circonvallazione di Catania. «È venuto e mi ha detto “voglio farti comprare un macchina“, gli ho detto “sì” e ho chiuso per ottomila euro. Duemila, che sono mille e mille, per Natale». «So tutte cose – replicava Ercolano a Fazio – tranquillo, stabilisci tu le cose».

Chiuso il discorso, si sarebbe passati alla gestione dei rapporti interni alla famiglia, in particolare quelli con il gruppo del quartiere Villaggio Sant’Agata e il presunto reggente Carmelo Renna. A parlare al telefono mentre è in carcere è sempre Ercolano: «Hai avuto problemi con questo?», «No, no, siamo in buoni rapporti noialtri», lo rassicurava subito Fazio, aggiungendo come Renna avrebbe rimarcato la conoscenza con Sebastiano Ercolano, padre di Mario ma anche fratello dello storico boss Pippo Ercolano. Due giorni dopo Ercolano e Fazio venivano intercettati nuovamente, intenti a parlare dell’estorsione condivisa per i campi da padel e delle modalità con le quali riscuoterla: «Quella degli 8 (ottomila euro, ndr) te la dividi – diceva il detenuto ergastolano – e poi un mese tu e un mese l’altro». Soldi che Fazio avrebbe dovuto gestire direttamente: «Prendi e te li tieni tu personalmente. Hai capito?», gli spiegava Ercolano.

Durante le battute finali di questa conversazione c’è spazio anche per alcuni chiarimenti sull’importanza del gruppo mafioso di Cibali, guidato proprio da Fazio, rispetto a quello della stazione, storicamente più prestigioso nella mappa della mafia cittadina. Motivo per cui Fazio chiedeva ad Ercolano l’autorizzazione a rapportarsi alla pari con l’allora reggente Alberto Privitera, per sottolineare come le cose fossero cambiate. «Qua siamo gli stessi, non c’è né più alto né più basso. Io vengo da te e tu vieni da me». Parole ben accolte da Ercolano che, di fatto, spiegava di non conoscere il responsabile di quella zona: «Io a lui non lo conosco, non so chi l’ha messo lì. Ora siccome ci sono io – aggiungeva, seppur dal carcere – li pigli dalla coppola del culo e li butti a mare direttamente: “Ma chi spacchio vi conosce?”».

Dario De Luca

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