Mafia e «figli d’arte», il tentativo di scalata di Ercolano Jr. «Così farò capire a mio padre chi sono»

Il futuro doveva fondarsi nel passato. Una convinzione che era diventata una sorta di mantra per Sebastiano Ercolano. Appena 20 anni, tante parallele criminali illustri nella famiglia di Cosa nostra a Catania, e la volontà di riaffermare un predominio che rimanda a vicende e uomini che hanno cercato di trascinare nella polvere il capoluogo etneo. Stessa linea tracciata e seguita da Sam Privitera e Natalino Nizza, figli rispettivamente di Giovanni Privitera e Giovanni Nizza, detto ‘mpapocchia. Storici soggetti del panorama mafioso etneo i cui figli, già da minorenni, avrebbero iniziato il loro cursus honorum facendo da postini del boss latitante Andre Nizza. Fondamenta di un’impalcatura criminale che qualche anno dopo li avrebbe portati a ordinare, secondo le accuse, l’omicidio di Vincenzo Timonieri. C’è poi la storia del quindicenne Domenico Nizza. Il figlio del capomafia Andrea Nizza, dopo una breve parentesi in una comunità per minori, si sarebbe macchiato del reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni della nota discoteca ECS Dogana. Una serie di vicende che rappresentano l’esempio di «progenie mafiosa scalpitante e desiderosa di guadagnarsi una posizione nella scena della criminalità organizzata catanese».

La ricostruzione, firmata dal giudice Carlo Cannella, è quella contenuta nelle pagine del decreto di fermo che, nei giorni scorsi, ha sventato una nuova guerra tra i Santapaola-Ercolano e il clan mafioso dei Cappello. Oltre cento carabinieri impegnati nel blitz e nove fermi tra cui spicca proprio il nome di Sebastiano Ercolano. Desideroso, stando alle accuse, di seguire le orme del padre, Mario Ercolano, e del cugino acquisito Aldo Ercolano – ergastolano per l’omicidio del giornalista Giuseppe Fava – e figlio di Pippo Ercolano, sposato con Grazia Santapaola, sorella di Nitto Santapaola. Ercolano junior, barba incolta modello talebani e profili social costellati di frasi a effetto e video pieni di ostentazione, si sarebbe fatto forte proprio di questo «vincolo di sangue». «Mio padre mi deve mettere in una sedia e mi deve dire “adesso sbrigati tutte cose tu“», diceva in un dialogo intercettato poi finito negli atti dell’inchiesta. «Camminano con il nome di mio padre? – continuava durante un confronto con un altro indagato – Benissimo, a fine mese devono dare i soldi». La «convinta adesione al sodalizio mafioso» si sarebbe scontrata, però, con la volontà contraria del padre «al fine di proteggerlo da un’esposizione all’attività degli inquirenti», si legge nel decreto.

Riluttanza che non avrebbe intimorito più di tanto il giovane Ercolano. «Lo sai che non te lo dice, perché giustamente ti consuma la vita», lo avvertiva Davide Finocchiaro. «A me non interessa – rispondeva – te ne siedo uno sulla sedia a rotelle… e poi cominci a capire chi è tuo figlio». La smania del giovane Ercolano si sarebbe scontrata tuttavia con la realtà dei fatti e un mondo mafioso in cui la famiglia di sangue di Cosa nostra da tempo è relegata in secondo piano rispetto agli altri clan attivi a Catania. Lo spunto è quello legato al progetto di uccidere Pietro Gagliano, nipote del collaboratore di giustizia Michele Vinciguerra, e ritenuto appartenente al clan Cappello. A fare precipitare la situazione sarebbe stata una discussione, avvenuta fuori da una discoteca a fine ottobre, e alcuni colpi di pistola che l’uomo avrebbe sparato verso alcuni santapaoliani. Contrasto finito al centro di un confronto in videochiamata (vedi foto), su Instagram, tra Sebastiano Ercolano e Salvatore Gurrieri, detenuto insieme al padre di Ercolano, nel carcere di Tempo Pausania (in provincia di Sassari, in Sardegna). L’uomo, registrato con il nickname nataleplus e con l’immagine dell’attore Tony Montana nel film Scarface, avrebbe dovuto fare da intermediario tra gli Ercolano. Obiettivo quello di recuperare un’arma con cui vendicarsi nei confronti dei Cappello.

«Ieri è successo un manicomio – diceva Ercolano a Gurrieri – mi devi dire dove me ne devo andare perché mi giova… Glielo devi dire a mio padre… che io ieri sono dovuto rimanere a casa e io non rimango un’altra sera a casa perché io non ho paura di nessuno». Dal carcere però non sarebbero arrivate buone notizie, tanto da scatenare la reazione stizzita del giovane. «Siamo nel far-west e la parte dei Cappello spara… punto. Ora capisco perché i cristiani cambiano famiglia, perché non possiamo dargli niente, né soldi né armi. Come spacchio dovremmo litigare con i cristiani? Con la fionda… la mazza con i chiodi? Mi sto anche vergognando».

L’argomento armi proseguiva lo stesso giorno con Finocchiaro. L’uomo, ritenuto molto vicino a Ercolano tanto da sottolineare la sua adesione al vecchio modello mafioso senza TikTok, avrebbe rivelato al complice come sarebbe stato possibile recuperare delle pistole con un esborso massimo di mille euro e con la complicità di un uomo residente in Calabria. «Io per comprarmi questa cosa mi sono venduto l’Sh 350 – spiegava l’indagato chiedendo conferma della propria versione alla moglie – entro dieci, dodici giorni li porta. Io però cose vere dentro non ne voglio perché ci sono i bambini». Unica eccezione, su suggerimento della moglie, per Capodanno: «Quest’anno devo fare il botto – diceva la donna rimandando al suo progetto per l’ultimo giorno del 2023 – Te lo dico prima: sbrogliale se sono sotterrate».


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