Una strana convivenza. Sarà quella tra la famiglia Ercolano e l’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. È uno dei risvolti immediati della sentenza della Corte d’Appello di Catania pronunciata il 9 maggio, che – come raccontato ieri da MeridioNews – ha fatto cadere il reato di associazione mafiosa per Enzo Ercolano, figlio dello storico esponente di Cosa Nostra Pippo Ercolano, cognato di Nitto Santapaola per averne sposato la sorella Grazia. Un sodalizio così saldo da avere reso il nome completo della famiglia mafiosa Santapola-Ercolano. A comporre la famiglia di sangue, invece, ci sono poi i figli: oltre ad Enzo, il fratello Aldo – all’ergastolo per l’omicidio del giornalista Pippo Fava – e le sorelle Maria e Cosima Palma. Ed è proprio quest’ultima la protagonista di questa strana convivenza: dopo la sentenza che ha stabilito la restituzione dei suoi beni, la donna tornerà in possesso delle quote della Co.P.P. srl e dividerà il tavolo dei soci con lo Stato, che rimane ad amministrare le quote del cognato, Concetto Di Stefano.
Coinvolta nel processo insieme al fratello Enzo – ma presto fuoriuscita per prescrizione -, Cosima Palma Ercolano deteneva il 60 per cento delle quote di Co.P.P. srl, con il restante 40 per cento a nome del cognato. Dietro entrambi, però, secondo l’accusa, ci sarebbe stato comunque Enzo Ercolano. Che avrebbe usato la ditta – autorizzata alla gestione di alcune cave – per appalti importanti, spesso finiti a loro volta al centro di indagini antimafia. Dalla costruzione dei centri commerciali Porte di Catania, Centro Sicilia e Sicily Outlet Village al mercato agroalimentare etneo, passando per infrastrutture decisive come le autostrade Catania-Siracusa e Caltanissetta-Agrigento. Dopo i sigilli e l’amministrazione giudiziaria, la società è rimasta in piedi e attiva, ma poco utilizzata perché senza personale e non particolarmente redditizia in assenza di grandi appalti.
Non solo Geotrans srl, la società di trasporti ammiraglia del gruppo, le cui quote erano distribuite a metà tra i fratelli Enzo e Cosima Palma. Negli anni, sono state in tutto cinque le aziende – ritenute riconducibili agli Ercolano – finite al vaglio dei tribunali. Tra queste, anche Geotrans Logistica Frost srl, con il suo deposito di surgelati e una minima attività di trasporto, detenuta al 99 per cento da Geotrans srl e all’1 per cento da Enzo Ercolano. Seguono la R.C.L., fondata da cinque dipendenti dell’azienda principale nel 2014, all’indomani del sequestro di Geotrans, ma di fatto nelle disponibilità degli Ercolano e diventata un primo tentativo di convivenza tra la famiglia e lo Stato. Con un ex dipendente rimasto a lavorare per la nuova società negli stessi locali in cui, nel frattempo, si insediavano gli amministratori giudiziari. Creando non poco imbarazzo ma, soprattutto, secondo l’accusa, utilizzando la nuova sigla per «recuperare patrimonio aziendale e clienti della Geotrans», già sull’orlo del collasso. Poco attiva già a quel tempo, invece, era la E.T.R., ditta di autotrasporto conto terzi, impresa individuale a nome di Cosima Palma Ercolano.
Un gruppo composito, la cui vicenda giudiziaria ha seguito due percorsi paralleli. Da un lato il tribunale penale – legato al processo scaturito dall’operazione Caronte che ha portato in carcere, sottoposto a misura cautelare, Enzo Ercolano – e dall’altro un procedimento distinto, seguito dal tribunale misure di prevenzione. Più generico e personale, quest’ultimo, non basato su un singolo processo ma sulla eventuale pericolosità sociale di un soggetto o sulle prove di una sproporzione tra i soldi investiti e quelli guadagnati. Nel caso di Enzo Ercolano, basato sull’illecita concorrenza portata avanti con il metodo mafioso. Confermata dalla Cassazione con la confisca definitiva nel 2019, come misura di prevenzione appunto, di quattro aziende su cinque: tutte, esclusa la Co.P.P. Il cui destino è invece proseguito nel corso della misura penale, arrivando a definizione con la sentenza di pochi giorni fa, che stabilisce la restituzione delle quote a Cosima Palma Ercolano. Niente da fare per la parte intestata al cognato e che – almeno per il momento – rimane allo Stato.
Fin qui, la cronaca a oggi. Che potrebbe però riservare nuovi colpi di scena. Innanzitutto per l’intenzione della legale dei fratelli Ercolano, l’avvocata Valeria Rizzo, di chiedere la revocazione del procedimento di prevenzione. E così provare a rientrare in possesso di tutte le società, Geotrans compresa. Un’eventuale restituzione con un alto valore simbolico per una delle aziende modello nella gestione dei beni confiscati: un raro caso di non fallimento dopo il passaggio allo Stato, concluso nel 2021 con la creazione di una cooperativa gestita dai dipendenti, a cui l’Agenzia nazionale ha assegnato alcuni beni della società confiscata. Affidamento che non verrebbe intaccato da un’eventuale restituzione dell’azienda agli Ercolano, ma per cui lo Stato dovrebbe riconoscere loro un risarcimento. Tutto, però, andrà valutato dopo le attese motivazioni della sentenza. Da cui dipende anche l’eventuale ricorso in Cassazione – il secondo – per la posizione di Enzo Ercolano, comunque condannato a 11 anni e 9 mesi per estorsione e intestazione fittizia di beni. Cinque in più di quelli chiesti dalla Procura generale e appena uno in meno rispetto al grado precedente in cui pendeva anche l’accusa di associazione mafiosa. Di questi, Enzo Ercolano ne ha già scontati poco più di sei che, con la libertà anticipata maturata, lo porterebbero a dover affrontare ancora quattro anni circa di carcere.
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO DAL LEGALE DI GEOTRANS SOC. COOP.
Si porta a conoscenza che la fotografia a corredo dell’articolo è da riferirsi a Geotrans Soc. Coop. e che detta azienda è soggetto giuridico diverso rispetto alle società menzionate nel contesto dell’articolo.
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