A Castelvetrano quelle dell’8 e 9 giugno sono le prime elezioni comunali senza Matteo Messina Denaro. Catturato dopo trent’anni di latitanza, è morto tra retorica e sensazionalismi. Un’assenza che ha avuto un posto in campagna elettorale. Tra chi la mafia non l’ha nemmeno nominata e chi ne ha fatto argomento centrale dei comizi, c’è chi […]
Il voto a Castelvetrano senza Messina Denaro: «Non fa differenza: lì la mafia ha molti volti socialmente accettati»
A Castelvetrano quelle dell’8 e 9 giugno sono le prime elezioni comunali senza Matteo Messina Denaro. Catturato dopo trent’anni di latitanza, è morto tra retorica e sensazionalismi. Un’assenza che ha avuto un posto in campagna elettorale. Tra chi la mafia non l’ha nemmeno nominata e chi ne ha fatto argomento centrale dei comizi, c’è chi pensa che questo sia il momento della liberazione, del riscatto e della rinascita. Ma cosa cambia, in concreto, in queste prime Amministrative post Messina Denaro nella cittadina del Trapanese dove era nato? La sua ombra rimane? C’è stata più libertà nello scendere in campo o ce ne sarà per gli elettori chiamati alle urne? «Sono domande poste da una prospettiva mafiocentrica che non riesce, per altro, ad andare oltre la presunta onnipotenza di Messina Denaro», commenta a MeridioNews l’antropologo Antonio Vesco che, da ricercatore al dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Catania, si è occupato anche dei rapporti tra mafia e società nel Trapanese.
A Castelvetrano, in realtà, si riparte da dove ci si era lasciati facendo qualche passo indietro. Al 2017 quando, ad appena cinque giorni dalle elezioni, il Comune era stato sciolto per infiltrazioni da parte della criminalità organizzata e, in particolare, per i rapporti tra mafia e massoneria. «Sarebbe infatti riduttivo ricondurre il fenomeno mafioso trapanese alla figura di Messina Denaro – sottolinea Vesco – anche perché quello è un territorio dove, più che in altri, la mafia non è solo mafia o lo è in forme che includono una serie di attori che non siamo abituati a includere all’interno di questa definizione». E questo dipende dal livello profondo di interazione e compenetrazione con la politica, gli imprenditori, la massoneria. «Gli esponenti della cosiddetta zona grigia, che è sempre più ampia, possono essere inseriti nell’organizzazione – analizza lo studioso – ma in molti casi operano al di fuori di essa, con un potere negoziale non indifferente». In questo quadro, il ruolo di Cosa nostra è sì rilevante ma non sempre centrale e dominante.
In questo complesso sistema di poteri si inserisce una figura come quella di Messina Denaro, ma il sistema funziona anche senza di lui. All’ormai ex superlatitante, fa notare Vesco, «è stato attribuito un ruolo di vertice anche negli ultimi anni, ma non sappiamo se e quanto abbia ricoperto effettive posizioni di potere. Di certo – aggiunge – è stato un traghettatore: l’ultimo rappresentante della linea stragista della mafia corleonese ma anche il primo a operare come un anello di congiunzione tra ciò che restava di Cosa nostra e quella che le cronache oggi definiscono borghesia mafiosa, riscoprendo un concetto che ha in realtà una lunga storia tra chi analizza questi fenomeni». Questo non significa sottovalutare il peso e l’influenza che i clan continuano ad avere nel controllo del territorio, ma comprendere che i mafiosi in senso stretto non sono necessariamente il nodo centrale delle reti del potere locale. «Messina Denaro – chiarisce l’antropologo – non può essere considerato una variabile indipendente del contesto politico-elettorale locale. Qui siamo di fronte a dinamiche articolate e ben rodate. A differenza che nel Palermitano, da queste parti i mafiosi hanno sempre fatto parte di un sistema tutto sommato coeso e pacificato. Si tratta di figure sfaccettate, che spesso non corrispondono all’immagine del mafioso violento. Sono percepiti ora come imprenditori ora come politici, e per questo godono ancora oggi di una maggiore legittimazione sociale».
Una mafia tendenzialmente non violenta che, per questo, «determina una risposta più debole da parte della società civile». Un fenomeno, insomma, che fa sollevare meno le masse, scuote meno le coscienze, crea minore dissenso sociale: «E l’eventuale consenso intorno a politici e imprenditori mafiosi o vicini a Cosa nostra – prosegue Vesco – è forse percepito come meno deplorevole». Un sistema in cui – vivo o morto, latitante o catturato – Messina Denaro da solo non fa la differenza. Come in questa tornata elettorale a Castelvetrano che è una sfida a sette. Si ripresenta il sindaco uscente del M5s Enzo Alfano, mentre il Pd si affida all’ex segretario provinciale e attuale consigliere di opposizione Marco Campagna. Spaccato anche il centrodestra con l’avvocato Giovanni Lentini per Forza Italia e Mpa, mentre Fratelli d’Italia punta sul dermatologo Salvatore Stuppia. A loro si aggiungono Salvatore Ficili, sostenuto da Sud chiama Nord, il farmacista Salvino Gangitano con La svolta per Castelvetrano e, ultimo in ordine di presentazione della candidatura, Maurizio Abate con la sua lista Aria nuova.
Anche se, in realtà, quello dell’aspirante primo cittadino è un ritorno: ci aveva già provato nella tornata elettorale, poi stoppata per lo scioglimento a pochi giorni dal voto, nel 2017. Di «vecchia mafia pentita del nostro territorio» Abate aveva parlato inveendo contro Giuseppe Cimarosa, figlio del collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa e della cugina di Messina Denaro che lo ha pubblicamente ripudiato. Le sue dichiarazioni, in cui negava l’esistenza della mafia e invitava il giovane a prendere le distanze dalla scelta del padre, erano state riportate da Rosy Bindi in commissione nazionale antimafia. Per quelle parole, dopo la querela di Cimarosa, Abate è stato condannato a pagare 600 euro di multa per averlo diffamato.