Elettrosmog: c’è anche la telefonia mobile

Una pubblicità di qualche anno fa diceva: “Il telefono? La tua voce”. Oggi, forse, grazie alla legge voluta del Governo Monti, sarebbe meglio dire: “Il telefono? La tua vita”.

Ma facciamo un breve passo indietro nel tempo. Nel 2001, l’allora Ministro delle Telecomunicazioni, Maurizio Gasparri, propose e fece approvare il decreto legge (d.l. 198 del 4/9/2002) che, di fatto, consentiva la proliferazione dei ripetitori per la telefonia mobile nelle città. Senza ovviamente badare alle conseguenze per la salute dei cittadini che una simile decisione comportava. Per le imprese di telefonia, ovviamente, fu come la manna dal cielo.

A seguito di quel decreto, si moltiplicarono le installazioni di antenne, ripetitori e stazioni radio per telefonia mobile, dislocate ovunque nelle città italiane. Queste strutture, montate ad altezze comprese tra 15 e 50 metri, a volta mobili, ma, nella maggior parte dei casi, fisse, spesso affiancate dai sistemi a corto raggio d’azione, installati a pochi metri dal suolo, sulla parete di edifici e all’interno di insegne pubblicitarie, consentirono la copertura del servizio nelle aree a maggior traffico telefonico. 8a sinistra, foto tratta da lineainipendente.blogspot.com)

Ovviamente questa diffusione delle antenne migliorò la ricezione dei telefonini e aumentò la quantità di dati che poteva essere inviata per unità di tempo (indispensabile per le aziende che volevano commercializzare i nuovi smartphone che necessitano di linee di comunicazione in grado di consentire un maggior trasporto di dati).

Per contro, nonostante le rassicurazioni dei tecnici inviati dalle aziende telefoniche circa la sicurezza di tali dispositivi, cominciarono a sorgere seri dubbi sull’impatto che questi dispositivi avevano e hanno sulla salute dei cittadini. Gli impianti per la telefonia mobile (ripetitori) sono radio multicanali a bassa potenza.

I telefonini sono invece radio ricetrasmittenti monocanale, sempre a bassa potenza. Quando una persona utilizza un cellulare invia un segnale ad un ripetitore che invia il segnale, codificandolo, alla linea telefonica fissa. Dato che si tratta di radio ricetrasmittenti, telefonini e ripetitori emettono radiazioni in RF (Radio Frequenza) ed espongono a tali radiazioni le persone presenti nelle vicinanze.

Il numero di antenne (gli apparecchi che producono la radiazione in radiofrequenza) presenti su un territorio, dal momento che è in grado di coprirne una porzione limitata, è strettamente legato alla popolazione che risiede o che utilizza cellulari in quella zona con una maggiore concentrazione nelle aree urbane, ove la distanza che intercorre tra di esse può ridursi a poche centinaia di metri.

Queste emissioni non sono costanti e variano in funzione della distanza dei vari terminali e del numero di utenti connessi.

Il decreto Gasparri, aveva introdotto norme meno restrittive e maggiore libertà nel posizionamento di ripetitori per la telefonia mobile sul territorio nazionale, nascondendo un interesse economico dietro la maschera della necessità di ”accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese”, considerandole di importanza pari alle opere di urbanizzazione primaria (strade, fogne, illuminazione pubblica, ecc.).

Tralasciando ogni ovvia considerazione sul fatto se debba essere considerata più importante per la cittadinanza una fognatura o una linea telefonica per utilizzare gli smartphone, la conseguenza di quella norma fu che le antenne vennero ritenute compatibili con “qualsiasi” destinazione urbanistica e quindi potevano essere realizzate in ogni parte del territorio comunale.

Il Governo dell’epoca ha utilizzato il seguente alibi: secondo alcuni studi sugli effetti che l’inquinamento elettromagnetico provoca sulla salute umana a lungo termine, “lo stato attuale delle conoscenze è ancora limitato” , tanto che non si possono predire effetti nocivi, in particolare, effetti cancerogeni o altre patologie che potrebbero colpire soggetti meno dotati dal punto di vista immunologico, come i malati, i bambini e gli anziani.

Tutto è stato fatto nel formale rispetto delle conoscenze scientifiche e della legge e della coscienza dei legislatori. Anche quella religiosa: infatti, non furono poche le chiese che decisero di inserire ripetitori camuffandoli sui campanili o dietro i crocifissi dei frontali.

In realtà, anche se le conoscenze sugli effetti sulla salute che possono avere queste onde radio sono ancora limitate, la comunità scientifica, già nel 2006, raccomandava cautela e precauzione in questo settore. Ma come è avvenuto nel campo delle conseguenze del fumo e in tutti quei settori in cui gli interessi economici sono enormi, nel campo della telefonia mobile il termine precauzione è sinonimo di pericolo. Del resto, si dice che anche i cellulari non facciano male, eppure molte persone che fanno un uso smodato dei telefonini, si sono ritrovati un tumore al cervello, alle orecchie o al mento. (Fonte: Medicina globale, Codacons).

Fino ad oggi, però, per poter posizionare una di queste antenne sulla proprietà privata, le Società che gestiscono la telefonia mobile erano costrette ad offrire somme congrue per l’installazione dei ripetitori. Cifre spesso appetibili (di solito intorno ai 25 mila euro per ripetitore) e per di più sottoposte a trattamento tributario agevolato (rientrando nell’art. 67, c. 1, lettera l, del Tuir con la possibilità di deduzione delle spese inerenti). La legge inoltre imponeva che la distanza minima dei ripetitori dalle abitazioni non potesse essere inferiore ai 70 metri.

Ma non era ancora abbastanza. E così, in nome delle “autostrade digitali”, anche l’iter per piazzare le antenne è stato velocizzato. D’altronde, il provvedimento per la crescita, fortemente voluto dal Ministro Corrado Passera, puntava tutto sulla rete Internet, visto che nei prossimi anni dovrebbe trasportare – come prevede la prima parte del decreto dedicata all’Agenda digitale – documenti, fascicoli sanitari, pagelle e libretti universitari, certificati (compresi nascita e morte), contratti, ricette mediche, biglietti di tram e bus, carta d’identità elettronica integrata con quella sanitaria, caselle di posta certificate (Pec), e-book per le scuole, cartelle cliniche… A beneficio di quelle poche imprese che gestiscono il settore delle telecomunicazioni…

Oggi, l’espressione elettrosmog è ormai entrata a far parte del linguaggio comune e poiché in questi ultimi anni tutti noi siamo sempre più esposti a intensi campi di alta frequenza, provenienti dalle antenne dei ripetitori televisivi e telefonici, ecc., non sorprende che molti ricercatori abbiano dedicato i loro studi alla verifica degli effetti biologici di queste emissioni sull’organismo umano. A niente sono serviti gli allarmi di molti scienziati che, da tempo, hanno reso noto che gli intensi campi RF irradiati da emittenti FM, da ripetitori TV e telefonici, potrebbero risultare, a lungo termine, cancerogeni.

In Italia, il Decreto Interministeriale n. 381, del 10 settembre 1998, fissa dei precisi limiti entro i quali un essere umano, ovviamente sano, può rimanere esposto senza conseguenze a queste emissioni, ma farli rispettare è alquanto problematico a causa dei forti interessi in gioco da parte delle multinazionali.

Senza considerare che le norme, a volte, sono davvero risibili. Infatti, più aumentano la frequenza e la potenza, più aumenta l’intensità degli effetti (basti pensare a un forno a microonde che, lavorando su frequenze comprese tra 2-3 GHz, riesce a cuocere in pochi minuti polli e bistecche).

Ebbene, il Decreto Interministeriale fissa un limite massimo che non dovrebbe superare i 6 Volt/metro. Riguardo a questi 6 Volt/metro c’è una ignoranza che sfiora l’assurdo; infatti spesso si considera come limite massimo 6 Watt/metroquadrato, confondendo i Watt con i Volt e i metri lineari con i metriquadrati. In realtà, un segnale di 6 Watt/metroquadrato corrisponde a 47,5 Volt/metro.

Tutti sanno che un trasmettitore irradia nello spazio il segnale RF generato tramite un’antenna irradiante e che più sono i Watt erogati maggiore è l’intensità del segnate irradiato.

Quindi più ci si trova vicino all’antenna, maggiore risulta l’intensità del campo elettrico e più ci si allontana, più questa intensità si attenua. Senza stare a disquisire sulle problematiche relative a come vadano fatte queste misurazioni e come un rilevamento poco corretto possa alterare i risultati in maniera consistente, basti considerare che i limiti imposti dalla normativa introdotta dal Sig. Gasparri e “perfezionata” dal governo Monti impone limiti ancora più alti di quelli imposti da Paesi come la Belgio, Russia (3 V/m) e perfino la Cina (5 V/m).

In Italia, invece il limite imposto da coloro i quali hanno dichiarato di avere a cuore la salute (delle imprese e non degli italiani è di 6 V/m (per ripetitori telefonia cellulare e broadcast, per permanenze non superiori alle 4 ore al giorno), ma può arrivare fino a 39 V/m (per frequenze da 3 GHz a 300 GHz e sempre per permanenze inferiori alle 4 ore al giorno).

Se invece l’antenna non ce la si deve sorbire per meno di 4 ore al giorno, ma per tutta la giornata? Beh allora diciamo che forse sarebbe meglio infilarsi in un forno a microonde …

 

 

 


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