Se lo chiede in un bel servizio il sito "international business times". Una domanda che ci riporta al processo sulla trattativa tra stato e mafia. Dove e' in corso un tentativo di lasciare alcuni personaggi chiave avvolti in un cono d'ombra
… e se Marcello Dell’Utri decidesse di raccontare tutto quello che sa?
SE LO CHIEDE IN UN BEL SERVIZIO IL SITO “INTERNATIONAL BUSINESS TIMES”. UNA DOMANDA CHE CI RIPORTA AL PROCESSO SULLA TRATTATIVA TRA STATO E MAFIA. DOVE E’ IN CORSO UN TENTATIVO DI LASCIARE ALCUNI PERSONAGGI CHIAVE AVVOLTI IN UN CONO D’OMBRA
Ci piace segnalare ai nostri lettori un articolo si International business Times (http://it.ibtimes.com/articles/67418/20140617/dellutri-trattativa-stato-mafia-politica.htm). Argomento: le vicissitudini di Marcello Dell’Utri, che da qualche giorno sconta la pena per una condanna a sette anni. Reato per il quale è stato condannato: concorso esterno in associazione mafiosa.
L’articolo è interessante per la ricostruzione storica e, soprattutto, per le conclusioni che trae. Sulla storia, beh, non ci sono grandi novità rispetto a quello che già si conosce. Se non un’attenta disamina sulle frasi pronunciate da Dell’Utri in alcune occasioni.
Per esempio, questa del 2010: “Non so se io, trovandomi al suo posto in carcere, riuscirei a resistere senza fare nomi”. In questo caso si riferiva allo stalliere Vittorio Mangano, che benché condannato, non disse mai una sola parola in più. O, ancora, le parole che pronuncia nel 2013, quando non viene ricandidato alle elezioni politiche: “Io non sono un amico acquisito nella stagione politica, sono un amico di vecchia data… la mia storia è la stessa di Berlusconi. Se Berlusconi mi vuole escludere l’unico modo è di rinnegare il mio passato”.
Interessante anche la ricostruzione delle accuse mosse a Dell’Utri nel processo che ha portato alla sua condanna. E nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia – attualmente in corso a Palermo – dov’è imputato assieme ad altri.
Ma l’aspetto più interessante di questo articolo sono le conclusioni. Che si sintetizzano in due domande: cosa potrebbe rivelare Marcello Dell’Utri se si decidesse a parlare? e chi sarebbero i soggetti che, forse, in questi giorni, avrebbero qualcosa – o molto – da temere?
La seconda domanda è la più interessante. Perché, alla fine, di Berlusconi, messo sottosopra in tutti questi anni, conosciamo ormai quasi tutto. Anche la storia dei 113 miliardi di vecchie lire giunti alla Fininvest nella seconda metà degli anni ’70 del secolo passato.
Ciò che, invece, è rimasto nell’ombra è tutto il resto. Che è conosciuto solo in parte. Sotto questo profilo il finale dell’articolo di International business Times è illuminante:
“… la trattativa (tra Stato e mafia ndr) non è ‘di destra’, ma coinvolge l’intero arco costituzionale, con molti protagonisti (alcuni imputati, altri solo sfiorati). Ed è il motivo per cui provoca un ‘fastidio’ assolutamente bipartisan. E’ solo un caso che una parte dei desideri contenuti nel papello di Riina siano stati esauditi, o abbiano tentato di esaudirli tanto Governi di centrodestra che di centrosinistra? La speranza che Dell’Utri sconti la pena da semplice e inoffensivo ‘bibliotecario’ è più condivisa di ogni riforma”.
Qui arriviamo al punto vero della questione. Perché, di fatto, le richieste dei mafiosi, almeno in parte, sono state esaudite. Anche dai Governi di centrosinistra. Con il ruolo attivo di personalità politiche che, nella cosiddetta Prima Repubblica e “durante la Seconda Repubblica hanno ricoperto ruoli di primissimo piano nelle istituzioni”.
La verità è che, in questa storia, si è andati avanti in una direzione: la condanna di Dell’Utri e le indagini a carico di Berlusconi; ma – questa è la sensazione – ci si è fermati davanti ad altri personaggi.
Basti ricordare le intercettazioni telefoniche tra l’ex Ministro Nicola Mancino e il Quirinale. O le tesi ‘giustificazioniste’ contenute nel volume dei professori Giovanni Fiandaca e Salvatore Lupo – “La mafia non ha vinto” – dove si teorizza che lo Stato, in certe condizioni, per difendere se stesso, può anche trattare con soggetti che operano al di là della Legge.
Noi non sappiamo come finirà questa storia. Non sappiamo se il soggiorno di Dell’Utri in Libano sia stato dettato dal semplice tentativo – in verità un po’ troppo maldestro per risultare credibile – di evitare di scontare la condanna. O se sotto ci sia altro.
Le nostre, ovviamente, sono solo congetture. Però l’idea che Dell’Utri possa raccontare tutto quello che sa ci affascina. Anche se la storia della Repubblica italiana – che, forse, non comincia l’1 gennaio del 1948, ma l’1 maggio del 1947, con la strage di Portella della Ginestra – insegna che non sempre i responsabili dei crimini vengono scoperti. E insegna anche che gli archivi, compresi quelli viventi, rimangono chiusi (e muti nel caso di persone che non vogliono rischiare il ‘caffè corretto’: vedi l’avvelenamento all’Ucciardone di Gaspare Pisciotta).
Basti pensare, per l’appunto, agli archivi che custodiscono ciò che ancora non è venuto fuori sulla già citata strale di Portella della Ginestra. Archivi che rimangono ancora chiusi proprio perché i morti dell’1 maggio 1947 chiamano in causa non solo una parte politica, ma tante parti politiche. Una storia che si è ripetuta nella trattativa tra Stato e mafia.