Salvatore Saitta vuole la tuta del Barcellona. La stessa utilizzata da campioni del calibro di Messi e Suarez. L’uomo scrive il proprio desiderio in una lista che manda a chi lo aspetta a casa. A realizzare il sogno può essere, però, soltanto il suo padrino. I cugini «non si sono fatti vedere» e la moglie è sempre più impaziente. Salvatore Fragalà cerca di rassicurarla: «Stai serena», «Io mi fido di te», risponde lei. Sicura che la tuta con i colori blaugrana possa arrivare al più presto nella cella del marito detenuto. Fragalà, è indicato come il boss che ha conquistato il litorale a sud di Roma partendo da Catania. Sembra conoscere come funzionano certe dinamiche e, per mettere ordine nei suoi affari, si rivolge spesso anche a Vanessa Ragonese, la moglie del detenuto innamorato del Barcellona. Il mondo della mafia che fa affari dalla Sicilia alla Capitale passa ancora per i vincoli familiari, ma è capace di trattare con altre organizzazioni. Particolari che emergono grazie agli atti dell’inchiesta Equilibri, condotta dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Roma Ilaria Calò, Corrado Fasanelli e Giovanni Musarò.
Nel 2014, Fragalà è costretto a fare rientro a Catania. Si trova in Spagna e decide di tornare ai piedi dell’Etna per provare a incontrare due cugini della donna: Lorenzo e Angelo Mascali, figlio e padre. L’ultimo dei due è stato un collaboratore di giustizia, salvo poi essere accusato di estorsione perché avrebbe minacciato, con le sue dichiarazioni, di mettere nei guai i boss etnei. «Gli devi dire al mio patrozzo che mi scuso per loro», riferiva Ragonese a Fragalà pronunciando le parole del marito a colloquio. «Poi ti devo dire una cosa molto delicata che riguarda te», continua la donna: «Tu apri gli occhi e non ti fidare di nessuno». Di qualcuno però Fragalà ha fede, anche perché ha come l’obiettivo di risolvere la questione relativa al debito dei fratelli Mascali. Il suo interlocutore, quando il calendario segna il mese di settembre 2014, sarebbe stato Francesco Santapaola, figlio di Salvatore, detto Turi colluccio, cugino del più noto Nitto. L’uomo non è indagato in questa storia e, due anni dopo, è finito in galera con l’operazione Kronos, accusato di essere il reggente della famiglia etnea di Cosa nostra. «Vogliamo metterci un attimo seduti e chiarire alcune situazioni», spiegava Fragalà a un suo uomo di fiducia.
Prima di arrivare a Catania, partendo da Torvajanica e Pomezia, Fragalà avrebbe fatto tappa a Casal di Principe, in Campania. Dove ad attenderlo, a quanto pare per spostarsi insieme in Sicilia, ci sarebbe stato Vincenzo Di Lauro. Indicato, secondo la ricostruzione, come il responsabile dei Casalesi che avrebbe intrattenuto rapporti con i Santapaola di Catania. Tra le tante chiamate intercettate della donna compare pure una telefonata con il presunto camorrista. A passargli il telefono è lo stesso Fragalà e nella discussione vengono fuori, ancora una volta, le tute sportive. «A casa mia si usa che anche se gli porti un piccolo gesto ad un detenuto, innanzitutto si fa arrivare a casa», spiegava la donna. «Pure a casa mia è così», confermava Di Lauro. «La pensiamo con la stessa mentalità». Segno di un gemellaggio criminale Catania-Napoli: «I miei fratelli sono catanesi quindi, quindi voglio dire io mi sento catanese, poi quando stiamo a Napoli, mio fratello si sente napoletano».
Nel 2015, però, c’è un affare da 130mila euro di cocaina che sfuma. Sebastiano Sardo, oggi pentito ma all’epoca trafficante di droga per conto del clan Cappello, investe del denaro e lo consegna a Fragalà. Ma il giorno dopo, il 26 ottobre, viene arrestato e per recuperare i soldi si attiva subito la famiglia del narcotrafficante, compreso il fratello. A chi si rivolgono? Ancora una volta a Vanessa Ragonese. La donna prova a contattare il presunto socio del marito, ma Fragalà si sottrae e risponde solo via messaggi: «Gli dici che ho il telefono staccato», scriveva. E l’ipotesi di organizzare un incontro avrebbe messo in serio pericolo anche la cresima della figlia di Ragonese. Cerimonia in cui Fragalà avrebbe dovuto fare da padrino. Ulteriore elemento che dimostrerebbe gli «strettissimi rapporti». Com’è già emerso, la situazione tuttavia precipita in maniera definitiva, fino ad arrivare al sequestro di Ignazio Fragalà. Il padre pasticcere del boss, prelevato nel Lazio, e poi liberato dalle forze dell’ordine soltanto a Messina. Per i magistrati, Ragonese si sarebbe mossa «con disinvoltura pienamente consapevole delle dinamiche mafiose». Una donna in equilibrio tra Santapaola e Cappello.
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