Droga dall’Albania alla Sicilia, parla l’agente in esilio «Nel mio Paese anche la polizia traffica la marijuana»

In qualunque modo andrà a finire, mercoledì per l’Albania sarà uno dei giorni più difficili della sua storia recente. Il parlamento dovrà, attraverso una doppia votazione, decidere se revocare l’immunità parlamentare all’ex ministro dell’Interno Saimir Tahiri e valutare se dare il via libera al conseguente mandato d’arresto. Un doppio passaggio d’aula che arriva dopo una settimana in cui il politico del partito socialista, tra i più vicini al premier Edi Rama, è finito sott’accusa per i presunti rapporti con i suoi cugini Moisi e Dorian Habilaj, ritenuti dai magistrati catanesi tra i principali narcotrafficanti dei Balcani. Ed è proprio da Catania che è partito il terremoto politico albanese. Lunedì scorso il Gico della guardia di finanza etnea arresta undici persone nell’ambito dell’operazione Rosa dei venti. Il giorno dopo MeridioNews svela in esclusiva intercettazioni e dettagli dell’inchiesta, comprese alcune conversazioni in cui Moisi Habilaj discute di soldi da restituire a un certo «Saimir» che gli investigatori ritengono essere il cugino politico.

Adesso a parlare al nostro giornale in un’intervista esclusiva è Dritan Zagani, poliziotto antidroga albanese costretto a rifugiarsi in Svizzera, in località segreta, ormai da diverso tempo perché in Albania è accusato di abuso d’ufficio e, in passato, sospettato di passare informazioni investigative all’Italia. È stato lui, tra il 2014 e il 2015, il primo ad accusare l’ex ministro di essere implicato nel narcotraffico. Svelando anche l’utilizzo, per trasportare droga, dell’auto privata di Tahiri da parte dei suoi cugini. Lo stesso mezzo citato adesso dalla guardia di finanza etnea.

Adesso in Albania tutti tornano a parlare del presunto coinvolgimento dell’ex ministro nel narcotraffico. Lei come sta?
«Gli investigatori italiani mi hanno fatto il regalo più bello del mondo ma io sto comunque male, non sono felice per quello che accade nel mio Paese. Ormai sono andato via da alcuni anni e da quattro sono sott’accusa senza che però sia mai stata celebrata un’udienza. Io vivo con mia moglie e le nostre tre figlie. Sto cercando di farmi una seconda vita in Svizzera e, se ho preso la decisione di andare via dall’Albania, l’ho fatto principalmente per la mia famiglia».

È passato dal ruolo di capo della polizia antidroga nel distretto di Fier, vicino Tirana, a prigioniero del suo stesso Paese. Com’è stato possibile?
«Nel 2014 indagavo su un banda di trafficanti collegati ai cugini Habilaj. Un gruppo molto potente che trafficava cocaina e armi. Avevo predisposto anche un’informativa ma poi sono stato messo in prigione. Durante le indagini ho visto anche la famosa Audi che poi ho scoperto essere dell’allora ministro Saimir Tahiri. Ho notato che veniva usata per fare dei viaggi sospetti, ma le mie denunce non sono state ascoltate».

Lei è finito in carcere. Per quanto tempo è stato detenuto? Cosa c’entra il lavoro che faceva con la polizia italiana?
«Mi hanno tenuto in prigione per sei mesi e otto giorni senza che venisse nessun procuratore a sentirmi. Nessuno mi ha interrogato, semplicemente si sono dimenticati di me. Ai tempi collaboravo anche con gli investigatori italiani, pure per canali informali come avviene in tutto il mondo. Ed è questo che ha portato all’accusa di essere uno che vendeva informazioni».

Durante questi lavori parlava con il finanziere Alessandro Giuliani, nello stesso periodo in cui lei era intercettato. Così finite nei guai, come raccontato in passato da Le Iene, per i vostri discorsi sulla droga. A salvarla poteva essere il capo dell’Interpol a Tirana, Anna Poggi, ma le cose sono andate diversamente.
«Sono state solo chiacchiere sul mio conto, senza nessuna prova. Io posso dire con certezza che lotterò fino alla fine e porterò queste persone davanti al tribunale dei diritti umani di Strasburgo».

L’Albania resta il canale privilegiato per le forniture di marijuana in Sicilia. Negli anni sono cambiate le modalità utilizzate dai trafficanti?
«Fino al 2014 avevo molte informazioni sui viaggi con i camion, ma anche via mare con i pescherecci. Avevo anche notizie di viaggi per la Calabria. Durante quel periodo ho subito il trasferimento e i servizi segreti mi informarono che la droga veniva presa anche con piccoli aerei da turismo. Correvano un rischio enorme per trasportare 200-300 chilogrammi di marijuana durante ogni viaggio. Questo poteva succedere solo con coperture di alto livello».

Quanta corruzione c’è nel suo Paese? Habilaj nelle carte dell’inchiesta Rosa dei venti più volte fa riferimento al ruolo della polizia nel traffico di droga.
«Ho sempre denunciato la corruzione. Ma il vero problema è quando appartenenti alle forze dell’ordine hanno anche interessi nel narcotraffico. Anche i politici hanno usato i soldi della criminalità, pure con i finanziamenti per le elezioni. Tutto il mondo sa che sono stati chiusi gli occhi dando il via libera alla coltivazione e vendita della marijuana».

Cambierà mai questa situazione?
«In Albania per cambiare ci vuole troppo tempo. Ci vuole un duro lavoro dell’Europa o rischia di diventare un covo della criminalità. Altrimenti c’è solo la rivoluzione come soluzione. La mafia è troppo forte e la sua base è nella droga».

Il parlamento, secondo lei, prenderà una posizione così netta contro Tahiri?
«Non voterà a favore, perché Tahiri è solo un anello di una catena più lunga che non può cadere. Perché con lui cadrebbe anche il governo albanese».


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