Il caso Sinner ha scoperchiato un vaso di Pandora da cui, tra gli altri, sono venuti fuori una quarantina di casi di positività al Clostebol riscontrata negli sportivi negli ultimi anni in Italia. Uno steroide anabolizzante che, pur essendo proibito dalla Wada, risulta presente in numerosi farmaci da banco per la cicatrizzazione delle ferite – […]
Doping: due pesi e due misure?
Il caso Sinner ha scoperchiato un vaso di Pandora da cui, tra gli altri, sono venuti fuori una quarantina di casi di positività al Clostebol riscontrata negli sportivi negli ultimi anni in Italia. Uno steroide anabolizzante che, pur essendo proibito dalla Wada, risulta presente in numerosi farmaci da banco per la cicatrizzazione delle ferite – come il Trofodermin –, così diffusi nel nostro Paese che l’Italia possiede oggi il triste record di positività alla sostanza vietata. È evidente, infatti, come – considerata la facile reperibilità di questi prodotti, apparentemente innocui – possa risultare difficile controllare e prevenire eventuali contaminazioni. Tra gli atleti di altri sport riscontrati positivi a questa sostanza, ricordiamo il cestista Riccardo Moraschini, poi condannato a un anno; il difensore dell’Atalanta José Palomino, assolto per assunzione involontaria; Fabio Lucioni, difensore del Benevento, anche lui condannato a un anno di stop. Nel mondo del tennis, il caso più simile a quello che ha coinvolto il numero uno al mondo è quello che ha visto protagonista Stefano Battaglino e che ha comportato per il tennista piemontese una squalifica per ben quattro anni, nonché la fine della propria carriera. Ma per meglio comprendere il perché si sia giunti ad esiti tanto differenti, bisogna sempre partire da un’analisi attenta e oggettiva dei fatti e della verità processuale.
Il 14 settembre 2022, durante un torneo a Casablanca, Battaglino al secondo set del match contro Diego Augusto Barreto Sanchez, chiama un medical time out per via di un leggero indolenzimento al braccio. In realtà, per stessa ammissione dell’atleta, si trattava di una scelta strategica – per spezzare il ritmo dell’avversario e riprendere un po’ fiato –, che però si rivelerà determinante non solo per il match ma per l’intera carriera dell’atleta. Un fisioterapista del torneo (estraneo quindi al team dell’atleta) gli applica sul braccio una pomata, senza guanti, of course. Alla fine del match, Stefano viene convocato per sottoporsi al test delle urine. Questa, secondo la difesa dell’atleta, la circostanza in cui si sarebbe verificata la contaminazione, dato che il tennista appena due settimane prima era stato sottoposto a un altro test antidoping – rivelatosi negativo – e, da quella data, sostiene di non aver fatto uso di alcun farmaco o integratore, né si è trovato in situazioni a rischio di contaminazione. A metà dicembre l’ITIA comunica l’esito del test effettuato in Marocco: positività al Clostebol. L’1 febbraio 2023 arriva la sospensione provvisoria: Battaglino viene sospeso da qualsiasi attività e gara ufficiale, non potendo neanche allenarsi in campi e strutture affiliate. Un fulmine a ciel sereno per il tennista che, da un giorno all’altro, si è trovato costretto a cambiare vita, non potendo più neanche entrare nel circolo in cui giocava fino al giorno prima, almeno fino all’esito del processo. E allora perché, verrebbe da chiedersi, Sinner ha potuto continuare a giocare ed allenarsi in attesa del verdetto (concretizzato nell’accordo con la Wada, nel suo caso)?
Già in questa fase, le differenze con quanto accaduto al numero uno del mondo sono lampanti e – al di là della verità processuale che emergerà in sede di giudizio – sono dovute alle circostanze e alle conseguenti scelte difensive intraprese. Come abbiamo visto, infatti, Sinner ha fatto un tempestivo ricorso contro la sospensione provvisoria, ottenendone la revoca sulla base delle proprie difese, ritenute plausibili e veritiere. I legali dell’atleta piemontese hanno invece agito diversamente: nessun ricorso – ritenendo che difficilmente la richiesta sarebbe stata accettata, sulla base di quanto in loro possesso – e hanno invece richiesto di effettuare delle controanalisi, con conseguente allungamento dei tempi processuali. La ragione di questa scelta risiede nell’impossibilità di provare nell’immediato quanto accaduto, dato che il fisioterapista del torneo, individuato come il responsabile della contaminazione, era irreperibile, nonostante le ricerche da parte della difesa e dello stesso ITF. Pertanto, a differenza di quanto accaduto a Sinner, Battaglino si trova costretto a trascorrere, da subito, ben otto mesi di inattività, fino alla sentenza. Al Tribunale indipendente la difesa dell’atleta richiedeva, quindi, una riduzione della sanzione sulla base del principio «nessuna colpa o negligenza» o, quanto meno, non significative; il Tribunale, tuttavia, con sentenza del 30 ottobre 2023, così decideva: «Le prove scientifiche e fattuali presenti in questo caso non sono sufficienti per ritenere che la presunzione di intenzionalità sia stata confutata in assenza di prova della fonte». E, ancora, «il Tribunale non conclude (e non deve concludere) che si sia verificato doping intenzionale. Invece […] constatiamo solo che la presunzione di intenzionalità non è stata confutata sulla base della preponderanza delle probabilità».
Nulla di nuovo, purtroppo, neanche in sede di appello al TAS: solo qualche giorno prima della conclusione del procedimento, si riesce a rintracciare il fisioterapista desaparecido, il quale, a suo dire, avrebbe preso tutte le precauzioni del caso, incluso l’utilizzo dei guanti, of course. Il Tas confermava così la sanzione inflitta nell’ottobre del 2023 dall’International Tennis Integrity Agency, ritenendo le argomentazioni di Battaglino non sufficienti per annullare o ridurre la sanzione e il giocatore, non essendo riuscito a provare la tesi dell’assunzione involontaria, dovrà scontare quattro anni di squalifica e concludere di fatto la propria carriera nel tennis. Non si tratta quindi di adottare due pesi e due misure: purtroppo, la verità fattuale non sempre coincide con quella processuale o, meglio, non sempre la verità dei fatti è dimostrabile in sede giudiziale. E questo vale, in particolar modo, nel mondo dello sport, le cui regole sono spesso derogatorie rispetto alle norme di diritto comune e si basano su principi spesso diametralmente opposti. Ma di questo discuteremo con la dovuta attenzione una prossima volta… Stay tuned!