Salvatore Virgillito esce dal carcere e viene trasferito ai domiciliari. È la decisione del Riesame nei confronti del presidente dell’ordine dei commercialisti di Catania, accusato dalla Direzione distrettuale antimafia di Messina di aver favorito il clan di Barcellona Pozzo di Gotto, nel Messinese, nella qualità di amministratore giudiziario di un’azienda confiscata alla mafia. Società all’interno della quale, nonostante […]
Trasferito ai domiciliari Salvatore Virgillito: cadono anche due accuse per il commercialista etneo accusato di aver favorito il clan Ofria
Salvatore Virgillito esce dal carcere e viene trasferito ai domiciliari. È la decisione del Riesame nei confronti del presidente dell’ordine dei commercialisti di Catania, accusato dalla Direzione distrettuale antimafia di Messina di aver favorito il clan di Barcellona Pozzo di Gotto, nel Messinese, nella qualità di amministratore giudiziario di un’azienda confiscata alla mafia. Società all’interno della quale, nonostante la presenza dello Stato rappresentata da Virgillito e, anzi, secondo l’accusa con la sua compiacenza, si sarebbe mandata avanti la vendita in nero di pezzi di ricambio di autovetture e la sottrazione di denaro dalle casse della società, specializzata in demolizione e recupero di materiali e rottamazione di veicoli a motore e rimorchi. I giudici del Riesame hanno anche fatto cadere due capi d’accusa nei confronti del professionista: l’intestazione fittizia dell’impresa che sarebbe rimasta riconducibile, secondo l’accusa, al clan Ofria e l’uso indebito di mezzi aziendali. «E, in generale, sono state ritenute ridimensionate le esigenze cautelari, così da far decidere per i domiciliari», spiega Angelo Mangione, docente di Diritto penale e legale di Virgillito. Confermata invece la custodia cautelare in carcere per quasi tutti gli altri indagati – gli Ofria con le rispettive mogli e figli, e i collaboratori più stretti – e attenuate le esigenze per alcuni con ruoli minori. Adesso si dovranno attendere 45 giorni per leggere le motivazioni dei giudici, «dopo le quali faremo ricorso in Cassazione per fare annullare anche le altre accuse», conclude Mangione.
L’accusa sull’uso dei beni aziendali, nello specifico, riguarda il caso della Fiat 500 a noleggio come mezzo dell’impresa e in uso a Luisella Alesci, moglie di Salvatore Ofria, ritenuto a capo dell’omonimo consorzio mafioso. La donna, insieme ad altri parenti di Salvatore e Domenico Ofria – tra cui la madre, Carmela Bellinvia, che dà il nome all’impresa – era tra i dipendenti dell’azienda, autorizzati dal giudice e da vari magistrati nel corso degli anni a continuare a lavorare anche durante i procedimenti di sequestro e confisca. E proprio alla madre di Ofria viene assegnato uno dei ruoli chiavi dalla difesa di Virgillito: tra le centinaia di segnalazioni del professionista su quanto succedeva in azienda, ci sarebbe anche un parere contrario dell’amministratore giudiziario alla richiesta di 300mila euro come trattamento di fine rapporto, avanzata da Bellinvia. Uno degli esempi che, per la difesa, dimostrerebbe l’assoluta estraneità di Virgillito alle sorti e ai guadagni della famiglia Ofria. A fronte, inoltre, dell’assenza di profitti per il commercialista etneo dagli eventuali affari illeciti condotti da alcuni dipendenti.