Talmente violenta che la mafia preferisce conviverci che arrivare allo scontro. Da Cosa nostra palermitana alla Black Axe infatti il passo, negli ultimi anni, è stato breve. Specie a Ballarò, base operativa della Cosa nera nigeriana. Un’organizzazione criminale in tutto e per tutto, che nulla ha da invidiare a quella nostrana, votata soprattutto a un comandamento: quello della violenza. Con cui controllano piazze di spaccio e traffici di donne. Malgrado sia più imprevedibile, per certi versi, rispetto alla mafia palermitana, quella nigeriana si fonda ugualmente su ruoli e dogmi ben precisi. Dalla relazione della Direzione Distrettuale Antimafia viene fuori un ritratto molto particolareggiato.
Due le cellule più numerose sul nostro territorio, The Black Axe Confraternity e The Supreme Eiye Confraternity (SEC), ramificate a livello internazionale e caratterizzate da una forte componente esoterica. A contraddistinguerle, non a caso, ci sono riti di iniziazione chiamati ju-ju, molto simili al voodoo e alla macumba, propri della cultura yoruba, che entrano in gioco durante la fase del reclutamento delle vittime. Riti che diventano, poi, funzionali alla fidelizzazione delle connazionali, che giunte qui dai loro paesi d’origine vengono subito destinate alla prostituzione.
La Black Axe, nata intorno agli anni ’70, è stata negli ultimi anni protagonista di imponenti operazioni delle forze dell’ordine, a dimostrazione «della pericolosità delle compagini criminali nigeriane, caratterizzate da una radicale struttura verticistica». L’head zone, cioè il capo della dimensione nazionale dell’organizzazione nigeriana, aveva un forum, vale a dire una base operativa, nel popolare quartiere da un lato simbolo oggi di accoglienza e integrazione, dall’altro invece da sempre capillarmente controllato da Cosa nostra. Che, però, sembra finora aver tacitamente tollerato la presenza, anche ingombrante e rumorosa, di questa nuova organizzazione criminale. per evitare, forse, di giungere a scontri violenti e suscitare di conseguenza troppe attenzioni su di sé. Un atteggiamento che in pratica ha come lasciato campo libero a padrini nigeriani, che hanno preso possesso della piazza attraverso l’uso della violenza e delle intimidazioni, mettendo puntualmente da parte gli scrupoli quando le circostanze richiedevano sequestri di persona, torture, schiavizzazioni. Da cui, purtroppo, non sono esenti neppure i famigliari delle vittime di turno rimasti in Nigeria, tenuti sotto scacco da referenti dell’organizzazione.
Criminali di un certo spessore, insomma, da cui aspettarsi di tutto. E che qualcuno erroneamente tende ad associare ad altre figure di cui la città negli ultimi anni sembra essersi di colpo riempita, almeno a giudicare dalle sue aule giudiziari: quelle di scafisti e trafficanti di uomini proveniente dall’Africa. Alcuni dei quali da tempo – da anni in certi casi – sotto processo qui a Palermo, dove alcuni magistrati della Direzione distrettuale antimafia in tempi non sospetti hanno suggerito l’idea di adottare, per individuarli e fermarli, gli stessi metodi messi a punto per la lotta a Cosa nostra. Una mossa vincente? Sarà il tempo a dirlo, anche se ad oggi di molti noti trafficanti a cui si è dato la caccia sembra si siano perse le tracce da un po’. Mentre i trafficanti, dall’Africa, fanno i soldi imprigionando, torturando e poi finalmente mettendo su barconi fatiscenti riempiti all’inverosimile orde di disperati, a Palermo i sodali della Cosa nera nigeriana si sono dedicati alla tratta di esseri umani finalizzata principalmente alla prostituzione. Ma c’è anche la costante contraffazione di documenti, strumentale all’ingresso e al soggiorno illegale sul territorio nazionale. Sono, queste, tutte importanti fonti di guadagno e di finanziamento per la criminalità nigeriana. «Si può, ormai, parlare di una collaudata metodologia che interessa l’intera filiera connessa allo sfruttamento della prostituzione, anche minorile, tendenzialmente gestita, nei diversi contesti territoriali, cercando di evitare qualsiasi tipo di conflittualità con la criminalità locale, specie quella mafiosa», precisa la relazione della Direzione investigativa antimafia, che nella sua ultima relazione sulle mafie dedica non a caso ampio spazio alle organizzazioni criminali straniere.
Come in Cosa nostra, a dispetto dei suoi finti dogmi tramandati nel tempo per restituire un’immagine altra di sé, dentro l’organizzazione c’è posto anche per le donne. Che non sono, quindi, solo e sempre vittime, ma che in alcuni casi anzi si trasformano nelle peggiori carnefici. Come le cosiddette maman, spesso al vertice dei sodalizi. Donne anziane che, attraverso la minacce e riti voodoo, per strappare patti di obbedienza e soggiogare giovani donne e in alcuni casi ragazzine col fine, sempre uguale, della prostituzione. Modalità operative, quelle della Black Axe, che si ripetono nel tempo, un po’ come quelle di Cosa nostra, che al centro dei suoi recenti discorsi continua a porre l’urgenza di ritornare al passato e alle vecchie ferree regole.
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