Ritorno alle origini. E qualcuno, a buon diritto, adesso dice: «Lo avevamo detto». L’addio di Luisa Lantieri al gruppo Pd all’Ars per transitare nel neonato Ora Sicilia – chissà se continuerà a chiamarsi così vista la diffida del sindaco di Lentini – e, quindi, tra le fila della maggioranza di Nello Musumeci, non è un caso isolato di divorzio dai democratici. Nelle ultime settimane l’avevano preceduta Daniela Cardinale, che alla Camera è passata al Gruppo Misto, e il messinese Beppe Picciolo – candidato, sempre in quota Sicilia Futura, nelle liste del Pd alle ultime Politiche ma non eletto – che alle Europee ha votato e fatto votare Forza Italia.
Tre nomi che in diverse recenti tornate elettorali avevano fatto discutere, perché la scelta di candidarli tra i dem a molti era sembrata imposta, figlia del trasformismo e irrispettosa di chi nei territori prova a fare vera militanza. Addirittura, nel caso della figlia dell’ex ministro Totò Cardinale, si era arrivati, alla vigilia delle Politiche 2018, alla chiusura per protesta dei circoli della provincia di Caltanissetta e al passo indietro, sempre per presa di distanze dalle decisioni del partito, del designato numero due della lista: quel Peppe Provenzano, vice direttore della Svimez, oggi scelto da Nicola Zingaretti come unico siciliano nella segreteria nazionale.
«Quando ho letto che Cardinale lasciava il Pd mi sono messo a ridere – commenta Renzo Bufalino, 38enne sindaco del piccolo paese di Montedoro e componente dell’assemblea nazionale del Pd, uno di quelli in prima linea nella protesta del 2018 – Si è avverato quanto dicevamo allora: le candidature non possono essere fatte per dinastia e lei sul territorio non c’è mai stata. Il risultato, in quel disastroso 4 marzo, fu che il Pd nel nostro collegio ottenne il dato più basso in Sicilia».
Nella vicina Enna la spaccatura si era consumata un anno prima, per le Regionali. Quando la scelta di candidare Luisa Lantieri – amica di Cuffaro e con un passato in Grande Sud di Miccichè, ma anche assessora uscente di Crocetta – aprì una battaglia tra le correnti di partito. Col risultato che l’unico seggio andò proprio alla centrista, beffando da una parte l’altro candidato Mario Alloro – che pochi giorni fa, dalle pagine de La Sicilia, si è tolto qualche sassolino dalle scarpe: «Sarebbe riduttivo dire che siamo stati facili profeti, ci aspettavamo però che chiedesse quantomeno scusa per avere tradito la fiducia della comunità democratica» – e dall’altra Fabio Venezia, il 37enne sindaco di Troina sotto scorta, che non trovò posto in lista.
«Il Pd – analizza Venezia – deve imparare da quello che è accaduto negli ultimi anni. Il partito non è un autobus che permette di essere eletti, stare in un partito significa essere parte di una comunità che esprime valori, principi e azioni politiche condivise». Al tema del trasformismo si accosta quello morale, considerando che due deputati regionali del Pd – quello in carica Paolo Ruggirello, e quello della passata legislatura Raffaele Nicotra – sono stati arrestati con l’accusa di aver agevolato Cosa nostra. Ecco che torna di prepotente attualità il tema della selezione della classe dirigente all’interno del partito.
«Tirare fuori dal cilindro il Bartolo di turno per prendere i voti di opinione è ben diverso dal formare una classe dirigente – spiega il sindaco di Troina – È fondamentale dare priorità ai valori della militanza e del lavoro a servizio del partito. È un problema serio e questa è l’occasione giusta per parlarne. Spetta a Zingaretti fare scelte di prospettiva». Già, ma se a Roma, con la nuova segreteria nazionale, qualcosa sembra muoversi, in Sicilia rimane un preoccupante stallo. Non è stato ancora sciolto il nodo della segreteria regionale, nelle mani di Davide Faraone ma osteggiato da quel pezzo, oggi maggioritario, di partito che ha sostenuto l’elezione di Zingaretti, cioè in larga parte la vecchia guardia. Ed eccolo un altro tema rimasto finora in panchina: nell’Isola manca un vero ricambio. «Qui il rinnovamento della classe dirigente non c’è stato – afferma Bufalino – e il trasformismo è anche dentro il Pd, perché alcune correnti che erano con Renzi sono subito salite sul carro vincente. Ma mi tengo la speranza che qualcosa cambi, a cominciare da un vero congresso e da vere primarie».
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