Dopo le polemiche di questi giorni tra lo scrittore Ottavio Cappellani e il cantante Mario Venuti con il teatro Stabile e il Comune etnei, interviene un volto noto al grande pubblico. Originario di Acireale, ormai residente a Roma, l'attore analizza i problemi dei luoghi della cultura cittadini, oggi così diversi dal passato. Su tutti: «Vengono dati incarichi a chi non ne ha le competenze. I politici, oggi, mi sembrano paralizzati dalla paura»
Dal caso Buk Fest allo stato dei teatri in città Antonio Catania: «Più arte, meno politica»
«Il punto è che non ci si fa problemi a scegliere gente politicamente appoggiata non tra i competenti ma tra chi non c’entra niente con il teatro». Non ha mezzi termini Antonio Catania, attore originario di Acireale ma da tempo trasferitosi a Roma. Noto al grande pubblico per i film al cinema spesso per la regia Gabriele Salvatores – e per il ruolo di Mimmo Barletta in Pane e tulipani di Silvio Soldini -, Catania ha partecipato anche a diverse fiction televisive senza mai dimenticare il teatro. E Catania città, dove torna, fermandosi nella sua casa di Riposto. Così l’eco della polemica di questi giorni sul Buk Festival e il ruolo del teatro Stabile nell’organizzazione è arrivata alle sue orecchie anche nella Capitale. La questione è scoppiata dopo la denuncia dello scrittore Ottavio Cappellani, il quale faceva notare come ad essere stata scelta per il ruolo di coordinatrice del festival sia Valeria Contadino, moglie di Giuseppe Dipasquale, direttore artistico del teatro Stabile. Che organizza la rassegna insieme al Comune etneo.
Il caso Buk Festival riaccende il dibattito sulla cultura a Catania. Cosa non va?
«Il problema, in tutta Italia ma soprattutto in Sicilia, è che vengono dati incarichi a chi non ne ha le competenze. I grossi teatri chiudono tra sprechi e gestioni condotte male, in attesa dei finanziamenti pubblici. Una volta Catania aveva tantissimi abbonati, il teatro era vivo e presente ma, se le gestione è familiare, la gente si allontana. Si devono riuscire a fare cose a livello un po’ più alto e cercare le eccellenze non nella politica e nella pratica degli scambi, ma tra chi sa fare».
In un’altra polemica di questi giorni, il cantante Mario Venuti sottolineava come l’offerta culturale ormai si basi spesso sul volontariato. È d’accordo?
«Gli spazi si riducono sempre di più e i soldi, sempre di meno, vengono divisi tra le iniziative ufficiali perché sono quelle dove si può rosicchiare qualcosa. Basti pensare ai premi teatrali, ormai parrocchiette di alcune compagnie. Che credibilità può avere una cosa di questo tipo? Penso invece a un gruppo di ragazzi, qui a Roma, che hanno occupato il cinema America e proposto proiezioni e dibattiti con registi come Paolo Virzì e Paolo Sorrentino. La gente era contenta e partecipe, e invece hanno messo i sigilli alla struttura. Le cose che funzionano sono guardate con sospetto. È tutto frutto di un sistema malato».
Come fare allora per riportare la gente a teatro, specie i giovani? È una questione culturale, economica o di offerta?
«Il pubblico anziano è legato a una stagione teatrale che non esiste più, gli abbonamenti sono segnali di un livello culturale che c’era e, in parte, si è perso. Ma non del tutto, e su questo bisogna investire con politiche apposite e circuiti tra compagnie e piccoli festival, anche amatoriali, in modo da coinvolgere innanzitutto chi il teatro lo fa. A Roma ci sono tanti piccoli teatri che funzionano benino e riescono a sopravvivere perché attorno gravitano diverse piccole compagnie che altrove non troverebbero spazio. Per quanto riguarda l’offerta, invece, la gente preferisce vedere le cose che conosce e manca l’educazione al teatro».
Serve allora più coraggio nel concepire una stagione?
«Secondo me, più che il coraggio forse potrà la disperazione».
In tanti si aspettavano un cambio di rotta con la nuova sindacatura di Enzo Bianco, un primo cittadino legato a un’immagine di Catania vitale e propositiva, e si ritengono delusi. Lei che ne pensa?
«C’era forse un’aspettativa sentimentale ma, analizzando come sono andate le cose nel tempo, noto troppe differenze. Ed è normale, perché vent’anni fa Catania era un posto dove non si poteva camminare per strada in centro e i locali hanno portato sicurezza e lavoro. Questa cosa però ormai è fatta».
Cosa serve adesso al teatro catanese?
«Programmazioni e progetti culturali precisi e seri, con un seguito di pubblico da paesi civili, e una squadra con le competenze giuste. Abbiamo persone come Ottavio Cappellani e Guglielmo Ferro, cosa manca? Una classe dirigente che faccia delle cose serie. Su questo mi sembra che le giunte di destra facessero di più. Sbagliando, magari intrallazzando, ma adesso mi pare che gli amministratori siano paralizzati dalla paura».