Nino Pulvirenti dovrà continuare a stare agli arresti domiciliari, così come avviene da 22 giorni. A deciderlo è stato il tribunale del riesame presieduto dalla giudice Maria Grazia Vagliasindi. Una decisione identica a quella presa nei confronti di Stefano Rantuccio, amministratore delegato della società Wind Jet. I due sono indagati con l’ipotesi di reato di bancarotta fraudolenta per il buco di bilancio alla casse della compagnia low cost, finita al centro dell’inchiesta Icaro della procura di Catania.
Il ricorso presentato dagli avvocati difensori, il professore Giovanni Grasso e il legale Fabio Lattanzi, è stato in parte accolto per quanto riguarda la restituzione dei beni. All’ex presidente del Calcio Catania sono stati restituiti la quasi totalità dei fondi che gli erano stati sequestrati, una cifra di cinque milioni di euro. A restare sottoposti al vincolo della magistratura ne restano 30mila. Nelle scorse settimane era arrivata la revoca dell’interdizione all’esercizio della professione per la consulente fiscale Paola Santagati. La donna è indagata insieme al presidente del collegio sindacale Vincenzo Patti e all’avvocato tributarista Gianmarco Abadessa. Nomi che si aggiungono all’elenco composto da Gianni Cominu, Giuseppe D’Amico, Biagio Rantuccio (fratello di Stefano, ndr), Matko Dadic, Gregoire Lebigot, Karl Rickard, Sarah Patti, Luciano Di Fazio, Gianluca Cedro, Giulio Marchetti e Remo Simonetti.
Secondo l’ipotesi investigativa, nell’indagine condotta dalla guardia di finanza, nel bilancio della Wind Jet sarebbero state realizzate «artificiose sopravvalutazioni operate con il contributo di società estere che, attraverso perizie di comodo, hanno gonfiato il valore delle rimanenze di magazzino per oltre 30 milioni di euro». Nell’agosto del 2012 con gli aerei a terra, a fronte di 20 milioni di euro incassati con biglietti già emessi, l’azienda ha chiuso i battenti non potendo più coprire le spese e 500 dipendenti sono stati licenziati. Il fallimento è stato evitato con l’accesso, nel maggio del 2013, a un concordato preventivo per fare fronte a un passivo di 238 milioni di euro e a un debito con l’erario di 43 milioni. L’inchiesta della procura di Catania è coordinata dal procuratore Michelangelo Patanè e dai sostituti Alessia Natale, Alessandra Tasciotti e Alessandro Sorrentino.
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